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“Io skipper, il mare, il turismo, le emozioni e … la crisi da Covid”

Da trent’anni il mare è il suo lavoro. È uno skipper, ma – come racconta nell’intervista – ad un certo punto ha capito che, insieme all’esperienza tra le onde, chi fa questo mestiere offre ai suoi clienti emozioni che lasciano il segno. Peccato che questo mestiere sia poco o niente riconosciuto. E che oggi – nella fase attuale dell’emergenza Coronavirus – chi lo fa non abbia praticamente idea di come ricominciare.

“Quando mi chiedono cosa faccio nella vita – dice Daniele Egitto, messinese classe 1967, un figlio di 19 anni, un divorzio alle spalle e da sette anni la convivenza con una nuova compagna tra Roma e la Sicilia – rispondo: sono uno skipper. E le persone il più delle volte sgranano gli occhi. ‘Wow, bellissimo’. E in realtà lo è, anzi, a mio parere, è il lavoro più bello del mondo. Vivere il mare da una barca, essere liberi di andare spinti dal vento, lavorare alla luce del sole, in costume da bagno, nella stagione più amata da tutti … be’, è un condizione lavorativa paradisiaca”.

Comandante sì, ma solo “in affitto”

“La cosa incredibile – spiega Daniele – è che il lavoro dello skipper è come se non esistesse. Per noi in Italia non c’è un albo professionale, per dirne una. E, ahimè, neanche gli altri Stati in cui ho lavorato lo prevedono. Tanti ‘colleghi’ in Croazia, in Spagna, in Grecia, in Francia, ai Caraibi mi raccontano che anche da loro la situazione è la stessa. Insomma quella dello skipper è una professione poco o niente riconosciuta”.

La legge italiana prevede il conseguimento di titoli professionali per la figura del comandante del diporto che può essere assunto dalla società di charter che esercita il noleggio. “In buona sostanza una persona che voglia affittare una barca e sia sprovvista di patente nautica deve ricorrere ad uno skipper, il quale con un contratto privato si assume onori e oneri di un comandante a tutti gli effetti. A questo punto lo skipper per il suo compenso può rilasciare ricevuta fiscale come persona fisica ed aggiungere l’IVA oppure emettere una ricevuta per prestazione occasionale con ritenuta di acconto (fino ad un massimo di 5.000€ lorde all’anno)!”.

E per qualcuno lo skipper è un lavoratore domestico

Una notizia ufficiale arriva proprio a febbraio di quest’anno quando l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) emana la nota n. 1366 del 13/02/2020, con la quale, in risposta ad un quesito dell’Ispettorato interregionale del lavoro di Venezia, fornisce alcuni chiarimenti in merito al corretto inquadramento contrattuale dello skipper impiegato in imbarcazioni da diporto. E sapete qual era “il” quesito da cui nasce la richiesta di chiarimenti? Se lo skipper possa essere assunto come “lavoratore domestico a bordo” (come ricorda il sito Dottrina per il lavoro). L’INL risponde che lo skipper è inquadrato – ai sensi dell’art. 36, comma 2, D.Lgs. n. 171/2005 (Codice della nautica da diporto) e al pari di qualsiasi lavoratore che svolga la propria attività su qualsiasi imbarcazione – nel ruolo della gente di mare, che, in base al disposto dell’art. 115 R.D. n. 327/1942 (Codice della Navigazione), è suddivisa in tre categorie: la figura dello skipper rientra nella prima categoria, della quale fanno parte tutti i lavoratori di stato maggiore e di manovalanza relativi ai servizi di macchina e di coperta quali capitani, marinai e mozzi (nella seconda stanno coloro che svolgono le funzioni di camera, di cucina e gli addetti ai servizi; infine, nella terza categoria rientra il personale addetto al traffico locale nonché alla pesca costiera).

“La settimana che mi ha cambiato la vita”

Problemi o meno, quello dello skipper è un mestiere che Daniele Egitto ha abbracciato d’impeto. Dopo il liceo scientifico (studi condotti – dice – “con risultati discutibili, ma sono stati anni indimenticabili”) ed una breve esperienza con il padre nel settore dell’import-export, ha incontrato per caso la persona che gli ha cambiato la vita. “No, no, non era una donna, era Antonio Lanuara, uno skipper calabrese al comando di un cutter di 15 metri, sul quale ho trascorso una settimana che mi ha rivoluzionato l’esistenza. Non sono quasi mai sceso a terra e sulla rotta di ritorno a Portorosa (il più grande porto turistico siciliano, collocato nel punto più rientrante della baia tra il suggestivo Golfo di Milazzo e di Tindari, ndr) mi è stato proposto di unirmi all’equipaggio che in novembre avrebbe traversato l’Oceano Atlantico per raggiungere i Caraibi. E così è stato. Avevo 24 anni e non ho esitato un attimo se non per comunicarlo a mio padre che si aspettava prendessi in mano le redini della sua agenzia”.  

Imprenditoria, strutture e cultura in nome del mare

Daniele nei suoi trent’anni di mestiere non si è “limitato” a condurre barche e a gestirne la vita a bordo, attività che di per sé sono comunque impegnative. Per 15 anni, fino al 2015, ha avuto una società che si chiamava Ammare e si occupava di servizi alla nautica a 360 gradi, chiusa nel 2015. “La mia più grande soddisfazione è stata però costruire e gestire i due porticcioli turistici di Messina e Milazzo Marina del Nettuno tra il 1998 e il 2001”. 

Tra traversate e miglia marine, ha capito anche che il suo lavoro è “offrire emozioni,”. Il turismo in barca è infatti un “turismo emozionale, culturale e gastronomico, basato sull’esperienza diretta dei partecipanti a bordo”. Non per caso quest’anno ha lanciato un nuovo progetto, che si chiama Culinary Sailing Cruise, una settimana in barca a vela alle isole Eolie inframezzata da corsi di cucina a terra, degustazioni di vini e prodotti tipici, per concludersi trascorrendo due giorni sull’Etna. “Ahimè a causa del COVID 19 tutto è rimasto per aria”.

Prenotazione saltate, viaggi rimandati

Neanche a dirlo, le restrizioni per l’emergenza Coronavirus hanno colpito pesantemente questa categoria di professionisti. Categoria che ha dentro un mare di persone – come si scopre googlando un po’ – accomunate da un forte senso di responsabilità e da un grande amore per la natura e della tutela del mare.

“La situazione attuale è piuttosto complicata. Mancano le direttive governative per la nostra categoria, per chi fa questo nostro mestiere di skipper. Sebbene sembri che la barca sia il posto più sicuro per evitare il contagio, non è ben chiaro come lo skipper possa assumere il comando a bordo con persone mai viste e conosciute prima. Alcune associazioni di categoria hanno dato indicazioni in merito al Governo, per esempio suggerendo che sia lo skipper che i clienti siano provvisti di tampone negativo o test sierologico e che si faccia la sanificazione delle imbarcazioni… ma ancora sono solo indicazioni”.

Di fatto, gli effetti sono pesanti. “Alcuni miei clienti che avevano già prenotato hanno rimandato all’anno prossimo, altri clienti hanno posticipato di qualche mese sperando che nel frattempo la situazione si chiarisca. Credo che la ripartenza debba essere accorta e prudente, ma non esclusa. Nel frattempo i danni economici sono enormi, le società di charter sono in piena crisi e noi skipper altrettanto. L’unico barlume di speranza sta nella possibilità di avere una stagione di last minute a prevalenza di clienti italiani”.

“Non si finisce mai di imparare”

Quando è esplosa la pandemia, Daniele era a Messina e la sua compagna era appena tornata a Roma. Tre mesi senza vedersi, in pratica. Ma nella sua città natale, lo skipper ha trascorso questo tempo con il padre e si è dedicato a programmare il futuro prossimo. Tra un pensiero e un ricordo, tra una chiacchierata e l’altra, gli è tornata in mente l’esperienza che forse definisce al meglio la sua “professione”.

“Nel 2015 – racconta – ho sentito il bisogno di fare un upgrade del mio curriculum, anche perché desideravo prendere in considerazione il lavoro all’estero e per fare ciò è necessario prendere la patente nautica inglese (yachtmaster offshore) che è riconosciuta in quasi tutti i paesi del mondo. Avevo già alle spalle un sacco di esperienza. Ma è ben noto che gli inglesi abbiano una tradizione marinara importantissima e che le loro acque siano molto diverse da quelle dove sono solito navigare, il Mediterraneo. Sono partito quindi per Falmouth in Cornovaglia, dove dopo una settimana intensa di teoria su correnti e maree ed un’altra settimana di pratica, ho sostenuto l’esame che è durato 12 ore! Bene, gli Inglesi davvero di ogni tragedia fanno uno studio, per loro la prevenzione sta al primo posto, la sicurezza, trascurata o sottovalutata da noi italiani, è per loro un must. Per dire, un giorno navigando nella Manica, per fare un’esercitazione un ufficiale della Guardia Costiera si è calato a bordo agganciato ad un cavo dell’elicottero, esercitazione che si è rivelata molto complessa e affascinante anche per noi”.

“Ho fatto tesoro di questa esperienza inglese – conclude lo skipper – che, offrendomi strumenti e conoscenze adeguate, ha rafforzato la mia personale attitudine nei confronti del mio equipaggio. Tra skipper ed equipaggio non ho mai visto un rapporto tra chi paga e chi assolve il suo compito, ma tra chi sceglie di navigare, imparando e scoprendo, e un istruttore/guida turistica/esperto locale… insomma, per tradurlo in una parola, un glocal. La mia conclusione è che, davvero, non solo non si finisce mai di imparare, ma anche di vivere nuove emozioni”.

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