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La Cgil Messina in piazza per la manifestazione sul Mezzogiorno

La Cgil rilancia la “Vertenza Messina”

Quarant’anni dopo la sua inaugurazione, la sede della Cgil provinciale di Messina, viene ristrutturata e restaurata. I media scrivono che “è ritornata bella come era nel 1981”. È il 7 febbraio 2020. Un mese dopo comincia lo stop a qualsiasi attività causato dalle decretazioni contro il contagio da Coronavirus. Una specie di “scherzo del destino”. Ma premono alle porte vertenze ed emergenze. E non si fa fatica a capire che il lockdown peggiorerà la situazione.

E in effetti è stato proprio così. Lo conferma il segretario generale della Cgil messinese, Giovanni Mastroeni, uno che della situazione cittadina e provinciale ha un bel po’ di esperienza. Se la sede della Camera del Lavoro ha 40 anni, Mastroeni, 59 anni, opera in Cgil da ancor prima, dal 1979, ed è stato segretario della Cgil di Milazzo e di Barcellona Pozzo di Gotto, segretario generale provinciale della Filcea, della Fillea, della Flai, segretario generale aggiunto della Cgil provinciale e presidente del comitato direttivo della Cgil Sicilia. È segretario generale della Cgil Messina dal 2 marzo del 2017.

Messina – argomenta – rischia di non essere una città per giovani ma neanche per vecchi. Per non parlare della fascia di mezzo, colpita in pieno dal deterioramento del tessuto produttivo che ormai data da anni e che oggi è ulteriormente aggravato dalla crisi causata dall’emergenza Coronavirus.

Non è un paese per giovani: emigrano dieci messinesi al giorno

Se sullo sfondo resta un mercato del lavoro ormai ”molto precarizzato, con l’utilizzo di strumenti quali il contratto di somministrazione che è molto limitativo rispetto alle forme contrattuali”, l’emorragia di intelligenze e forze giovani, questa nuova emigrazione che non accenna a diminuire, è probabilmente il dato da affrontare con massima urgenza.

Il 17 settembre con la presenza del segretario generale nazionale della Cgil Maurizio Landini – ricorda Mastroeni – abbiamo organizzato un’iniziativa sostenendo l’assoluta necessità di creare nuovo lavoro e sviluppo nel territorio per bloccare la fuga dei giovani. Il rapporto Svimez ci ricorda che fra il 2002 e il 2017 ci sono stati oltre due milioni di emigranti. Il 33% è composto da laureati. Significa che in 15 anni nel Mezzogiorno quasi un milione di giovani ha lasciato la propria casa”. E Messina? “C’è un dato certificato: vanno via 9,4 messinesi al giorno. Anche in questo caso la metà sono giovani. Tutto questo porta ad una proiezione al 2050 di 200 mila residenti, nel marzo 2018 eravamo 231 mila. La situazione è drammatica”.

Così drammatica che – secondo il segretario generale della Cgil – bisogna anzitutto “ripristinare nel nostro territorio le condizioni minime di fiducia e di speranza perché si possa immaginare ancora un futuro per Messina sulle rive dello Stretto. Se non si ferma questa emorragia demografica, se le migliori intelligenze vanno a cercare fortuna altrove, se non si crea un minimo di sviluppo e nuovo lavoro, la città e il nostro territorio soffocheranno. Proposte e progetti ci sono, il rilancio passa anche da iniziative legate alle Zone economiche speciali e al sistema portuale”.

Pensioni al di sotto dei 750 euro lordi per un terzo degli anziani

Ma se i giovani sono costretti a fuggire, agli anziani non va meglio. Secondo una ricerca commissionata dalla Cgil Sicilia il 30% dei pensionati siciliani (circa 271 mila unità) vive con un reddito da pensione inferiore ai 750 euro lordi (in Italia è il 23%) e il 43,2% ha una pensione inferiore a mille euro (il 34,3% il dato italiano). “Gli andamenti demografici, come detto – commenta Mastroeni – segnalano un deciso invecchiamento della nostra popolazione. A ciò si aggiunga che i comuni siciliani spendono per i servizi sociali in genere il 50% in meno del parametro delle grandi regioni”. Neanche a dirlo, dunque, “per la popolazione anziana diventa fondamentale arrestare il declino del sistema di protezione sociale  e risolvere i problemi che riguardano welfare e sanità”.

Non bastasse questo scenario, ecco l’effetto dello stop imposto dalla pandemia. Ed ecco l’acuirsi – o il manifestarsi – di vertenze targate 2020.

Effetto pandemia: la nuova emergenza a Messina si chiama turismo

Nuova ed inevitabile è la “vertenza turismo”. L’emergenza sanitaria esplosa ha pesantemente colpito il settore turistico, settore importante per la provincia di Messina con 3 milioni e mezzo di presenze, il 23% del totale regionale nel Polo di Taormina, delle Eolie e del nascente agro-turismo dei Nebrodi”. Prima della pandemia i sindacati avevano rilanciato richieste e progetti per il settore. L’obiettivo era destagionalizzare, per poter avere maggiore sviluppo e occupazione, oltre ad interventi infrastrutturali e trasportistici in grado di ridurre tempi e costi di collegamento con i nostri luoghi turistici.

“Adesso è diventato necessario l’avvio di una diversa politica dello sviluppo del turismo”. Politica più che opportuna se si pensa che il settore conta oltre 21 mila lavoratori e rappresenta uno dei comparti di maggior peso nell’economia del territorio.Va previsto – dice Mastroeni  – alla fine dell’attività lavorativa turistica, che per quest’anno sarà più breve, un intervento di cassa integrazione in deroga per gli stessi lavoratori”. “Si tratta – aggiunge – di utilizzare gli interventi previsti nell’ultimo decreto nazionale di rilancio per sostenere il settore con aiuti a fondo perduto, bonus vacanze, piani di sviluppo legati alla destagionalizzazione del settore oltre la necessità del congelamento e del rinvio di tutta la tassazione a carico delle aziende del settore con l’auspicio, viste le caratteristiche del nostro turismo, che con le aperture dentro la comunità europea dei confini si possa riportare il turismo internazionale nel nostro territorio”.

Altro settore, altra crisi. Sempre targata Coronavirus, almeno in quota parte. “Il commercio sta soffrendo pesantemente la crisi economica con molte saracinesche non ancora alzate e tantissimi negozi che hanno avuto una lenta ripresa. Gli incassi si sono drasticamente ridotti e sarà impossibile recuperare i due mesi di chiusura. La forte preoccupazione è che i piccoli negozi possano rimanere schiacciati dalla crisi e le grandi catene, nella migliore delle ipotesi, si ritroveranno a far richiesta di ammortizzatori sociali per lunghi periodi e non solo per la fase contingente. Tutto ciò produrrà anche in questo comparto centinaia di licenziamenti nelle piccole attività e, per il resto della forza lavoro, una drastica riduzione del reddito. Il commercio al dettaglio non alimentare avrà un drastico ridimensionamento”.

Per capirci, bastano alcuni numeri. Tra commercio, servizi e turismo la categoria Filcams ha sottoscritto 205 verbali di ammortizzatori sociali per un numero complessivo di 2583 lavoratori. E I dati relativi al primo trimestre 2020 sull’andamento economico provinciale secondo la Camera di commercio dicono che – tra iscrizioni, cessazioni e variazioni di imprese, tra gennaio e marzo – nel primo trimestre di quest’annol’imprenditoria messinese registra un saldo negativo di 92 unità. “Per i servizi in appalto, la principale criticità la riscontriamo negli appalti di ristorazione delle agenzie educative, scuole e università”. Il personale della ristorazione in appalto è già inserito nella linea degli ammortizzatori sociali. Ma ciò che più spaventa è la prospettiva. “Si teme un lungo periodo senza retribuzioni”. Non è chiaro quando e come riapriranno scuole e università.

Anche l’artigianato non sta messo meglio: sono state sottoscritte 750 domande dell’ente bilaterale Ebas con 2300 lavoratori interessati.

Vertenze storiche e nuove: dall’edilizia alla Raffineria

Altra vertenza, questa a dir poco storica, è quella dell’edilizia. Il settore ha contato un numero di occupati più che dimezzato negli ultimi dieci anni. Nel 2009 erano 11.000 gli iscritti alla Cassa edile, nel 2020 sono scesi a 5000. “Indispensabile lo sblocco di tutte le opere pubbliche cantierabili (da parte di tutti gli enti)velocizzando le procedure e utilizzando modelli come quello che si è messo in campo per la realizzazione del ponte Morandi a Genova”.

E poi ci sono le vertenze singole. “La principale vertenza che ci vede mobilitati è la difesa del grande insediamento industriale rappresentato dalla Raffineria di Milazzo (Ram).  Con l’importante accordo firmato il 29 maggio si apre una decisiva fase nella qualela Ram, le imprese dell’indotto, Cgil Cisl Uil e i lavoratori, Sicindustria, faranno “sistema” a difesa e per la crescita futura dello stabilimento  coniugando sviluppo e difesa dell’ambiente”. La questione è serissima. C’è il calo dell’attività produttiva e dell’occupazione dell’indotto causa Covid. C’è la strategicità della Raffineria nel sistema economico provinciale. C’è l’apertura di un tavolo tecnico e politico al Governo regionale per la questione ambientale, sulla quale hanno assunto posizione forte i movimenti ambientalisti. “Tale trattativa regionale – dice oggi la Cgil – deve servire a modificare il Piano Regionale della Tutela della Qualità dell’aria in quei punti nei quali prevede dei limiti di emissioni diversi da quelli previsti dalle normative nazionali ed europee, limiti cioè che non sono raggiungibili e mettono a rischio l’attività della Raffineria dal 2022. La chiusura della Ram determinerebbe nella zona una crisi economica e sociale che il territorio non potrebbe sopportare”.

Le soluzioni? Uno “sforzo progettuale straordinario”

“Si deve mettere in campo uno sforzo straordinario per dare risposte di lavoro ai tanti giovani ma anche stabilità alle tante fasce precarizzate”, conclude il segretario della Cgil. “

Dopo i gravissimi effetti della pandemia non è più possibile rinviare. Bisogna avviare subito un nuovo piano di sviluppo della provincia di Messina, partendo da un’attenta analisi delle caratteristiche presenti nel nostro territorio. Le risorse necessarie per i progetti di sviluppo vanno ricercate attraverso l’utilizzo del nuovo Piano per il Sud presentato dal Governo nazionale nel quale è previsto l’utilizzo del 34% delle risorse del bilancio ordinario dello Stato da investire nelle aree del Mezzogiorno.  Oltre a questo, ci sono tutti i fondi europei della programmazione 2021-2027 e le ingenti risorse previste nel varo del recovery fund votato dal Parlamento europeo lo scorso 15 maggio. Centrale diventa quindi per intercettare queste risorse una vera e nuova progettualità che fino ad oggi è mancata”.

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