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Immuni, solo il 3 per cento degli italiani la scarica. E in tanti sbagliano pure app

Pubblicato il 17 Giugno, 2020

Nei primi due giorni si sono susseguite le dichiarazioni entusiastiche da parte dei rappresentanti del Governo. Immuni era un grande successo. La app sponsorizzata dal Ministero della Salute, utile al tracciamento dei contagi da coronavirus, il 3 giugno scorso era stata scaricata – secondo il ministro Pisani – da un milione di persone. Il 4 giugno – parola del Commissario Straordinario Arcuri – eravamo a quota 1 milione e 150mila download. Da allora, la pagina di installazione sul Google Store  resta ferma a 1+ mln (oltre un milione) di download, cui andrebbero sommati i download (il cui numero è al momento ignoto) dall’Apple Store. Da questa somma andrebbero sottratte invece tutte le disinstallazioni, quelle che avvengono fisiologicamente (di solito nelle 24 ore successive al download) e quelle che in questo caso sono state indispensabili a causa del malfunzionamento della App con alcuni dispositivi, in particolare con i sistemi Huawei e Honor oltre che con tutti i device Apple meno recenti.

I numeri ufficiali e non

Già con questi numeri ci troveremmo di fronte a un enorme flop. Consultando poi  lo strumento sensortower, scopriamo che i numeri potrebbero essere di gran lunga inferiori, nell’ordine delle centomila unità per tecnologia Android e anche inferiori per Apple. Ma se pure  volessimo attenerci alle dichiarazioni ufficiali dei ministeri, con due milioni di download, la App Immuni non avrebbe alcuna chance di svolgere il ruolo di “sentinella” del contagio che le autorità intendevano  riconnetterle, per il quale sarebbe necessario che almeno il 60 per cento degli italiani attivasse la app sul proprio telefonino.

Intanto gli italiani sbagliano app

A una parte di quel presumibile 3 per cento di italiani che ha invece scelto di riporre fiducia nello strumento messo a disposizione dal Ministero della Salute possiamo inoltre imputare una certa approssimazione: tra fine maggio e gli inizi di giugno, infatti, in centinaia hanno scaricato – in luogo di Immuni – Immune System (app didattica nata in India per fornire ai ragazzi le nozioni basilari di immunologia), scagliandosi poi contro gli sviluppatori, rei di aver rilasciato lo strumento in lingua inglese.

I motivi del flop

Ma torniamo ai numeri del flop. I motivi? Tanti. Il primo,  più generico – sollevato immediatamente dalla maggioranza dai cittadini –attiene alla tutela della privacy: il ministero risponde che la App non rileva la geolocalizzazione, che i dati verranno conservati fino a dicembre 2020, ma nulla riesce a dire a proposito del passaggio di questa immensa mole di dati dalle “mani” di Google e Apple. C’è poi la questione ancora più fondante dell’utilizzo della tecnologia Bluetooth per attivare i tracciamenti, con il suo potenziale carico di falsi positivi in grado – in presenza di numeri altissimi di downloads – di paralizzare l’intero paese. Una serie di questioni più tecniche (giuridiche oltre che scientifiche) impedirebbero inoltre alla App di svolgere il proprio compito con i tempi rapidi che sono richiesti da faccende sanitarie. Mancano infatti gli strumenti che mettano in comunicazione la App con il sistema sanitario, mancano disposizioni sulla procedura da seguire nel caso in cui si riceva un allarme (alert) e infine manca qualsiasi indicazione sui modi e i tempi di ottenimento di un tampone per chi riceve lo stesso allarme.

L’inadeguatezza

Dunque un flop in re ipsa, quello di Immuni. Perché non si può lanciare uno strumento di tracciamento senza  aver predisposto la rete necessaria a gestire il traffico – giuridico, sanitario, di dati – che da quel tracciamento è generato.

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