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Passa l’Election day con la fiducia, caos al Senato

Pubblicato il 19 Giugno, 2020

Una votazione movimentata al Senato ha approvato l’Election day a settembre per Comuni e regioni. Blindato dalla fiducia, ripetuto il giorno successivo per un errore informatico che ha costretto a rientrare di corsa a Roma i tanti senatori che già dopo la prima votazione di giovedì erano partiti per il weekend. Addirittura la Presidnte Casellati che perde il classico aplomb dando degli inutili “pupazzi” agli assistenti di Palazzo Madama che avevano mancato di segnbalargli le riprese non autorizzate di un senatore leghista col suo i phone. La maggioranza tiene al Senato, incassa il nuovo voto di fiducia con 158 sì e approva al fotofinish il decreto Elezioni, che rinvia a settembre il voto di comunali, regionali, suppletive e referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, raggruppandole in un’unica tornata elettorale.

Ma per il secondo giorno consecutivo è caos al Senato, dove si consuma un durissimo scontro tra maggioranza e opposizioni (che anche oggi disertano il voto di fiducia), e non mancano le critiche rivolte alla presidente Elisabetta Casellati sulla conduzione dell’Aula.

Si fanno sentire gli strascichi di quanto accaduto ieri, con il tentativo di blitz messo in atto dal leghista Roberto Calderoli, il governo che si salva per soli due voti, la verifica di quanto accaduto attraverso i video interni dell’Aula e il colpo di scena finale con l’annullamento del voto di fiducia per mancanza del numero legale. Inevitabile che la seduta di questa mattina inizi con i nervi a fior di pelle.

È per prima la maggioranza a riaccendere le polemiche, chiedendo la correzione del verbale, nel quale chiede sia messo nero su bianco che ieri è stata negata la possibilità di intervenire a diversi senatori prima del voto sulla proposta Calderoli (il che, è la tesi, avrebbe impedito l’agguato del senatore leghista).

Insomma, un’accusa nemmeno tanto velata a Casellati. Che si difende con piglio deciso: “Chiedo scusa per quanto è avvenuto ma non accetto lezioni da nessuno sulla conduzione dell’Aula”. L’errore è stato “grave ma tecnico, non imputabile alla presidenza del Senato”. D’altra parte, scandisce, “se mancava la maggioranza non è attribuibile alla presidenza, non è certo attribuibile alla presidenza se ieri non c’era il numero legale”.

Al fianco di Casellati si schiera il presidente di Montecitorio, Roberto Fico: “Chi presiede le Camere svolge sempre il proprio ruolo a difesa delle istituzioni. Attacchi o polemiche al riguardo sono davvero fuori luogo”. Dopo momenti di tensione, con un duro botta e risposta tra la M5s Paola Taverna e Ignazio la Russa (poi risolto con tanto di scuse), si passa al voto di fiducia: il centrodestra non partecipa (“la destra di Salvini e Meloni organizza agguati, ma poi opta per il week end lungo”, attacca il capogruppo dem Andrea Marcucci), mentre la maggioranza chiama a raccolta tutti i senatori per evitare nuovi incidenti.

L’esito fa tirare un sospiro di sollievo alle forze che sostengono il governo: la maggioranza c’è (anche se si ferma tre voti sotto quota 161, ovvero la maggioranza assoluta), c’è anche il numero legale.

Lo stesso presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, si complimenta con i capigruppo (“chapeau, ci siete tutti, siete stati bravi”) e il ministro per i rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà commenta soddisfatto: “La maggioranza è compatta”.

Mentre Matteo Renzi torna a rivendicare che “per la seconda volta in due giorni Italia viva è decisiva per salvare il governo Conte in Senato. Adesso ci aspettiamo uno scatto di concretezza dall’esecutivo”. Ma non è finita qui. Subito dopo il voto, accolto dalla maggioranza con un lungo applauso liberatorio, scoppia la bagarre.

Interviene in Aula il capogruppo M5s Gianluca Perilli, che sferza le opposizioni e definisce “indegne” le parole dell’azzurro Maurizio Gasparri pronunciate ieri sera in una trasmissione tv contro Paola Taverna (che nel frattempo ha incassato la difesa di Casellati e si è scusata per aver rivolto accuse a La Russa, il quale ha invocato il Giurì d’onore), chiedendone le dimissioni. Richiesta poi rinnovata, senza alcun accenno alle scuse.

Dalle parole di Gasparri prende le distanze la capogruppo Anna Maria Bernini, che però difende la linea delle opposizioni e ricorda gli attacchi subiti, anche dal premier. è quindi la volta del capogruppo della Lega, Massimiliano Romeo, che in Aula si scusa per alcuni toni accesi, richiama tutti a un confronto più pacato, e cerca di porre fine alle polemiche.

Anche se poi, in una nota, attacca: “La maggioranza è allo sbando, non ha più i numeri. Conte prenda atto che la sua esperienza è finita”. Dello stesso tenore i commenti degli altri esponenti di centrodestra.

Per tutti il Conte II è a un passo dalla fine. “Il Governo mette la fiducia ma al Senato la maggioranza non riesce neppure a raggiungere il numero legale. Tutto da rifare. Per molto, molto meno qualsiasi governo di centrodestra sarebbe stato costretto a dimettersi. Ma quando al governo c’è la sinistra tutto è ammesso. è la famosa democrazia variabile del sistema politico italiano”, afferma Giorgia Meloni.

Per Forza Italia “il governo è al capolinea”, sostiene Licia Ronzulli. Matteo Salvini si tiene fuori dalle polemiche, limitandosi ad osservare: “Nella maggioranza, tra M5s e Pd, più che litigi non c’è molto. Quando noi non andavamo d’accordo con il M5s, dopo un pò abbiamo staccato la spina”. E poi “agli italiani non interessa la data delle elezioni, ma quando arriva la Cig”.

Un richiamo a porre fine alle polemiche arriva da Luigi Di Maio che, come tutto il Movimento 5 stelle, fa quadrato attorno a Taverna: “Gli attacchi delle opposizioni sono ingiustificati e strumentali, volti ad alzare il livello di tensione in Parlamento ed aprire spaccature che fanno solo male al Paese”. Mentre “la politica tutta deve abbassare i toni dello scontro e mostrarsi responsabile”.

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