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Veneto: Covid travolge il settore turismo, boom di CIG

Pubblicato il 29 Giugno, 2020

Crollo degli occupati in Veneto, soprattutto nel settore turistico. Lo rivela l’ultimo report mensile dell’Ufficio di Statistica della Regione Veneto, dedicato al mercato del lavoro in Veneto prima e dopo il ‘ciclone Covid’. Se prima della pandemia il mercato del lavoro in Veneto registrava più occupati e meno disoccupati della media nazionale, con ottimi indici di performances paragonabili ai livelli precedenti il crollo di Lehman Brothers,  il ciclone Covid, con la chiusura delle attività economiche imposta dalle misure di contenimento del contagio, ha danneggiato il mercato del lavoro del Veneto. Basta guardare alle ore di cassa integrazione guadagni per avere  un’idea molto chiara delle situazione emergenziale che stiamo affrontando: in tutto il 2019 erano state concesse al Veneto 17 milioni di ore – registra Statistiche Flash – Nel solo mese di aprile 2020 ne sono state autorizzate 113 milioni.

Il settore che ha registrato una congiuntura più sfavorevole è quello degli alberghi, dei pubblici esercizi e delle attività similari; per questi lavoratori, nel solo mese di aprile 2020 sono state concesse il triplo delle ore di tutto il 2013, che per il settore è stato l’anno più duro della crisi economica finanziaria internazionale.

Il calo occupazionale è dettato principalmente dalle mancate assunzioni dei lavoratori precari e stagionali: secondo i dati di Veneto Lavoro, ad aprile 2020 i contratti di lavoro a tempo determinato sono crollati del 32% rispetto ad aprile 2019 e, fra questi, gli stagionali sono stati i più colpiti (-41%). 

Il settore del commercio, degli alberghi e dei ristoranti ha impiegato il 13% degli occupati in meno rispetto ai primi mesi del 2019, così come il settore delle costruzioni (-6%). Industria in senso stretto e agricoltura hanno retto meglio lo shock (occupati rispettivamente +7% e +26%).

Nonostante la situazione de mercato del lavoro in Veneto appaia migliore della media nazionale, gli effetti occupazionali dell’emergenza sanitaria ed economica potrebbero dimostrarsi più evidenti proprio in quei comparti e quelle tipologie contrattuali che nascondono una minor ‘qualità’ dei rapporti di lavoro: part time involontario, i precari a tempo determinato, gli atipici, i ‘finti’ lavoratori autonomi ma in realtà con rapporto subordinato, i cosiddetti “dipendenti contractors”.

I dependent contractor: secondo l’Organizzazione internazionale sono occupati formalmente autonomi che sono però, di fatto, vincolati da rapporti di subordinazione con un’altra unità economica (cliente o committente) che ne limita l’accesso al mercato e l’autonomia organizzativa, ad esempio fissando le tariffe della prestazione lavorativa oppure detenendo gli strumenti necessari per svolgere l’attività.

In Veneto i dependent contractor sono più di 42mila, rappresentano il 9% degli autonomi e il 14% degli autonomi senza dipendenti. La nostra regione presenta valori inferiori rispetto ad altre regioni del Nord (Trentino Alto Adige 18%), anche se si mantiene al di sopra della media nazionale. Non tutti gli autonomi sono coinvolti allo stesso modo: i dependent contractor sono più diffusi fra i giovani under 35, fra le donne, i laureati e gli occupati nel macrosettore dei servizi. Molto concreto è il rischio di scivolare in questa categoria soprattutto per gli atipici: su 100 co.co.co. e prestatori d’opera occasionale, 66 sono di fatto legati da vincoli di dipendenza. I dependent contractor, inoltre, si distinguono dagli altri lavoratori autonomi per una minore flessibilità organizzativa: molti di loro lavorano presso il committente e non possono decidere l’orario di lavoro.

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