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Il Cantinone, Franco Cagnòli: 'luogo dall'estetica magica, prima e dopo di me' (intervista)

Il Cantinone, Franco Cagnòli: ‘luogo dall’estetica magica, prima e dopo di me’ (intervista)

Pubblicato il 7 Luglio, 2020

Franco Cagnòli e Il Cantinone di Santo Stefano di Sessanio per anni sono sembrati inscindibili: un gioco di atmosfere, non soltanto un ristorante. Nonostante ciò, tutto cambia: ciò che scompare in un contesto può riapparire nell’altro, e forse il territorio non perderà i suoi punti fermi. Segue la nostra intervista.

“Il Cantinone è un luogo particolarissimo e dall’estetica magica. Lo era prima e lo sarà anche dopo di me, sperando che vi sarà qualcuno che come me ne sia convintamente innamorato e lo esalti con la propria cura e la propria passione oltre il mero discorso commerciale. Come mi hanno scritto in tanti, dispiaciuti per la mia dipartita, sono anche le persone che fanno l’anima di un locale. E la nostra impronta è stata quella di trovare un equilibrio in funzione di questo discorso, facendo felici più o meno tutti i tipi di clientela: dal gruppo di avventori casuali in cerca di un bicchiere di vino veloce, fino a proposte di matrimonio in esclusiva nella grotta.

Come si organizza un servizio impeccabile? “Semplicemente mettendo in funzione la propria empatia. Capendo immediatamente lo spirito di ogni cliente, parlandogli nella propria lingua e facendogli avere quello di cui ha bisogno. Con l’esperienza impari a capire un cliente appena entra, ne assorbi le energie e sai subito come trattarlo per farlo sentire a proprio agio. Molti esercenti, del resto, hanno una una propria linea e scelgono di coltivarsi una clientela a seconda della loro proposta. In una cantina come quella il discorso è molto delicato, e a volte tocca far condividere lo stesso tavolo a tipologie di clienti completamente diverse, che nella maggior parte dei casi fanno amicizia. Queste sono state le soddisfazioni più grandi. È la vittoria dello spirito della cantina. Anche per quanto riguarda i prodotti, l’equilibrio resta sempre la chiave. C’è da conciliare l’eccellenza con la domanda e la sopravvivenza imprenditoriale. Soprattutto, bisogna avere rispetto per gli stranieri e non approfittare della loro ingenuità ed del loro entusiasmo a prescindere.”

Esistono ancora le antiche genti d’Abruzzo? “È una domanda difficile.
Nel senso stretto della definizione, temo di no. Esiste di certo uno strascico percepibile negli anziani, specie nel settore pastorale, al quale ho avuto la fortuna di potermi dedicare in due anni meravigliosi della mia vita in cui mi è sembrato di vivere una vera e propria favola. È ovvio che tutto stia cambiando. Sono piccole realtà che di certo la globalizzazione ingloba più lentamente, ma che comunque non sfuggono al processo generale.”

Quali saranno vantaggi e svantaggi per la ristorazione, con il distanziamento post-Coronavirus? Si perderanno alcune nicchie particolari? “Il Coronavirus è stato una sciagura per tutte le piccole attività ristorative, cioè una della massime realtà di forza e di lustro dell’imprenditoria italiana. Diceva Socrate nel Simposio di Platone che l’Amore nasce dalla necessità unita all’arte di arrangiarsi. In questo principio è racchiusa la grandezza della micro-impresa italiana, da sempre prima nel mondo, ammirata ed imitata da tutti, e ricercata dal turismo straniero con vera e propria venerazione. Tutta l’Italia è pullulante di cantine e piccoli gioielli in luoghi meravigliosi adattati ad attività. Sono realtà fortemente penalizzate ed impossibilitate ad operare dal cocktail micidiale di queste restrizioni e la nota asfissia fiscale. Purtroppo stanno chiudendo in molti, e temo che vedremo il peggio in autunno, quando calerà la domanda ed il fisco batterà cassa. Dio ce ne scampi se poi dovessero tornare a salire i contagi e ci dovesse essere un nuovo lockdown.”

Ci spieghi meglio perché la perderemo. “In realtà mi perderete solamente come gestore del Cantinone. Non è escluso che in futuro possa aprire un’altra attività da queste parti. Adesso come adesso sto solo cercando di dedicarmi un po’ a me stesso, dopo sette anni di totale dedizione al lavoro, in cui ho sacrificato quasi tutto. Una parte di me voleva continuare e un’altra mollare, perché gestire da soli una struttura del genere è logorante e totalizzante, specie se poi hai dietro una concedente importante ed esigente come la Sextantio. Sarebbe ideale farlo insieme ad un socio oppure un partner, come fu nei primi anni. Non è un caso che tutte le attività più solide di questo territorio (ma non solo) siano gestite da famiglie unite e devote alla causa comune. Oltre alla serietà, è e sarà sempre l’unione a fare la forza. Nel mio caso, ho dovuto mollare per una divergenza tra le mie esigenze e quelle della mia concedente. È ovvio che poi il virus abbia fatto la sua parte complicando ulteriormente le cose.”

Santo Stefano perderà la sua specificità per diventare una mèta turistica come tutte le altre? “Santo Stefano è di anno in anno una meta sempre più affollata, come Rocca Calascio e un po’ tutto questo territorio.
Stiamo vivendo una fase molto delicata in cui c’è bisogno di un’alzata sui pedali da parte della politica per assumersi determinate responsabilità e predisporre un sistema ricettivo serio ed attrezzato, con la consapevolezza che il turismo abbia ormai raggiunto dimensioni importanti e debba essere inquadrato come risorsa numero uno.
I fine settimana sono sempre più affollati e lo saranno sempre di più. Se non ci si organizza si verrà sopraffatti e si andrà incontro a seri danni d’immagine. Purtroppo c’è uno zoccolo duro locale che ancora fa fatica a comprendere\accettare questo discorso, pretendendo di starsene in santa pace senza che gli si “rompano le scatole”. Ma l’interesse per questi luoghi cresce sempre di più, e bisogna imparare a sfruttarlo in maniera saggia e costruttiva, possibilmente accantonando vecchi campanilismi ed impegnandosi finalmente in una sinergia comune.”

Che cosa farà ora? Un altro sogno da realizzare nella pratica quotidiana? “Sto cercando di metabolizzare il cambiamento. Anche se, non navigando certo nell’oro, mi toccherà presto di prendere una decisione ed imboccare una delle possibili strade alternative.
Ad oggi posso dire di voler restare qui. L’ho capito definitivamente nei mesi del Coronavirus, in cui nella sciagura ho almeno avuto la serenità per elaborare i cambiamenti personali che prima di ogni altra cosa avrebbero potuto indurmi a tagliare ogni legame con questo posto.
Arrivai qui da sedicenne, alle prime luci dell’alba in sella ad uno scooter. Capii immediatamente che era il posto in cui avrei voluto vivere e di cui avrei voluto prendermi cura. Era così prima del Cantinone e di tutto il resto, e lo sarà anche dopo. Ho giurato amore alla Rocca nella buona e nella cattiva sorte, convintamente, come si fa nei matrimoni veri. Un vero innamorato non si scoraggia anche se qualcosa va storto, e forse è stato un paradosso positivo anche la fine di quest’esperienza lavorativa.
Se fossi rimasto al Cantinone avrei probabilmente continuato a vivere in una prigione dorata. Paradossalmente, forse, questa sarà la spinta vera per ricominciare da capo ed aprire il cuore a nuove sfide. Le ferite fanno male ma si richiudono, anche se le cicatrici saranno lì per sempre a ricordarti la tua fallibilità. Fa tutto parte del gioco.

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