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Messina, se la realizzazione del secondo Palazzo di Giustizia è un argomento “tabù”

Una domanda sul secondo Palazzo di Giustizia scatena l’ira del sindaco De Luca che si “conquista” dure critiche di Ordine e sindacato dei giornalisti. Il Palazzo non rientra nel “Riparte Messina” di De Luca mentre per la sua realizzazione la Giunta Accorinti, aveva stretto protocolli d’intesa e deliberato monitoraggio civico

Pubblicato il 7 Luglio, 2020

È una domanda sul secondo Palazzo di Giustizia di cui si discute da anni a Messina quella che ha suscitato l’ira del sindaco Cateno De Luca – ira espressa nei modi e nei toni cui ormai ci ha abituato – contro il giornalista che l’aveva posta, Alessio Caspanello (LetteraEmme). Sulla vicenda sono intervenuti duramente anche Ordine dei Giornalisti e AssoStampa ricordando al sindaco che i giornalisti devono fare domande, perché questo è esattamente il loro mestiere. E che alle domande un rappresentante della pubblica amministrazione semplicemente deve rispondere.

Fatto è che il Palazzo di Giustizia satellite non rientra nell’elenco delle opere che il Comune ha pianificato per il prossimo futuro all’interno del cosiddetto “Riparte Messina”.

Il Palazzo di Giustizia satellite nell’era Accorinti

La storia del secondo Palazzo di Giustizia di Messina, per quanto lunga e ricca, ha avuto una accelerata negli ultimi anni della sindacatura Accorinti.

Nel febbraio 2017 era stata infatti firmata l’intesa per la realizzazione del secondo Palazzo di Giustizia a Messina. Il protocollo d’intesa era stato firmato al Comune di Messina da Gioacchino Alfano, sottosegretario alla Difesa, da Gioacchino Natoli, capo dipartimento organizzazione giudiziaria del personale e dei servizi del ministero della Giustizia, dal direttore generale dell’Agenzia del Demanio, Roberto Reggi, e dal sindaco Renato Accorinti. “Tra cinque anni Messina avrà il Palazzo di Giustizia bis”.

Nel frattempo, Messina aveva creato un albo degli organismi indipendenti di monitoraggio civico e nel 2017 aveva approvato una delibera per destinare lo 0,45% del quadro economico di spesa del costruendo secondo Palazzo di Giustizia per finanziare il patto di integrità, ovvero un documento che l’istituzione appaltante richiede ai partecipanti alla gara e prevede un controllo incrociato ed un monitoraggio da parte di un organismo terzo e indipendente (come Agenzia Nazionale Anticorruzione o Trasparency International). Uno strumento che qualche altro Comune (vedi Milano) già applicava e che la Commissione europea utilizza nel programma “Integrity Pacts- Civil Control Mechanism for Safeguarding EU-funds”.

La realizzazione del secondo Palazzo di Giustizia sarebbe stata sottoposta a monitoraggio civico – della spesa, dei tempi, delle condotte – diventando una sorta di opera-simbolo di un modello particolarmente efficace, e tempestivo, di trasparenza amministrativa.

Il Palazzo di Giustizia satellite nell’era De Luca

Nel giugno 2018 veniva eletto sindaco Cateno De Luca. A Messina terminava l’era Accorinti. E si cominciavano a registrare novità anche in merito alla localizzazione del secondo Palazzo di Giustizia. A ottobre del 2018 il nuovo sindaco inviava una nota “da intendersi come avvio del procedimento di revoca dei richiamati protocolli d’intesa, con l’avvertenza che trascorsi inutilmente 60 giorni, si procederà a porre in essere la delibera di Giunta municipale di revoca dei protocolli”.

E di lì a poco De Luca indicava come possibile localizzazione del nuovo Palazzo di Giustizia la via La Farina e come ipotesi da percorrere quella di realizzare una costruzione ex novo. Saltava – di fatto – il progetto della precedente amministrazione che prevedeva la ristrutturazione di un plesso già esistente, l’ex Ospedale Militare (ex Caserma Scagliosi) in viale Europa.  Nel luglio 2019 un vertice al Ministero della Giustizia faceva sì che De Luca ritirasse l’ipotesi di via La Farina. Nell’agosto dello stesso anno la commissione Lavori pubblici consiliare dava ragione a De Luca, per il quale il progetto “accorintiano” sarebbe costato molto più dei preventivati 17 milioni. E nel febbraio del 2020 si registrava un nuovo tavolo tecnico al Comune con il corollario dell’affermazione del sindaco: “andiamo avanti con il progetto del secondo Palazzo di Giustizia in via La Farina”.

L’ultimo dato di cronaca è che del secondo Palazzo di Giustizia nel corposo elenco di opere del “Riparte Messina” non c’è traccia.

Questione soldi: come si finanzia il nuovo Palazzo di Giustizia?

Come si finanzierebbe il secondo Palazzo di Giustizia? Da dove sarebbero arrivati i 17 milioni previsti? La domanda è legittima – al pari di quella posta da Alessio Caspanello al sindaco De Luca. La deliberazione 789 del 16 novembre 2017 fornisce una serie di informazioni decisamente di interesse pubblico. E cioè che il Comune di Messina ha acceso con Cassa depositi e prestiti due mutui per la realizzazione dell’opera. L’ha fatto in tempi lontani. Uno, di 12 milioni e rotti, concesso nel 1999 e l’altro, di cinque milioni e rotti, concesso nel 2004. Un mutuo è una forma di prestito. Ovvero si paga. Ed è dato immaginare – a meno di ricevere notizie ufficiali che lo smentiscano – che si paghino anche questi due mutui. Mentre si discute se e dove e come fare il secondo Palazzo di Giustizia i due mutui maturano interessi.    

E anche il monitoraggio civico “passa” su un’altra opera

In tutto questo percorso, “saltava” anche il progetto di monitoraggio civico della spesa correlato al secondo Palazzo di Giustizia. L’associazione che se ne era fatta promotrice, PWI (Parliament Watch Italia) però ha nel frattempo trovato l’accordo per il monitoraggio di un’altra opera e firmato con l’Università degli Studi di Messina, nel dicembre del 2019, il Patto d’Integrità avanzato da applicare a un appalto pilota. Patto sottoscritto dal Prorettore vicario, Giovanni Moschella, e da Francesco Saija di Parliament Watch Italia. Una terza firma sarà apposta dal vincitore dell’appalto. L’impegno era stato assunto dall’Ateneo (in qualità di amministrazione appaltante) e da Parliament Watch Italia (come ente di monitoraggio) lo scorso 1 marzo, in occasione del primo appuntamento del laboratorio di monitoraggio civico ‘Libellula’. A seguito di quell’incontro e sulla base di quell’impegno, l’Università è stata inserita, insieme alla Regione siciliana e al Comune di Palermo, tra le amministrazioni responsabili dell’azione 7 “Prevenzione della corruzione” del quarto Piano d’azione nazionale per l’open government 2019-21, promosso dal Ministero per la Pubblica Amministrazione.

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