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“La giustizia? Un servizio pubblico essenziale a cui si tolgono risorse”

La definizione di “pretore d’assalto” venne coniata a partire da alcune sue inchieste. Di lui la stampa scrisse come di colui che aveva sfidato “gli intoccabili” della città. Oggi Elio Risicato guarda alla Giustizia – e anche alla “sua” Messina – con una sana dose di distacco. Ma non senza appenarsi

È legato per sempre alla definizione di “pretore d’assalto” che venne coniata proprio a partire da alcune sue inchieste. Ha scardinato alcune delle logiche di potere corrotto che strangolavano Messina quando nessuno, o quasi, se ne era accorto. Di lui la stampa scrisse per anni come di colui che aveva sfidato “gli intoccabili” della città dello Stretto. E in tutti questo tempo per una dozzina di volte è stato sottoposto a procedimento disciplinare e un paio di volte si tentò di mandarlo a processo vero e proprio: gli ostacoli che incontrava erano cioè tanto fuori quanto dentro la magistratura, dove entrò a 26 anni per uscirne quasi mezzo secolo dopo.

Oggi Elio Risicato ha 83 anni, vive in Veneto da decenni e guarda alla Giustizia – e anche alla “sua” Messina – con una sana dose di distacco. Ma non senza appenarsi.

Le tracce “indelebili” dell’ex pretore d’assalto

Intanto però restano tracce indelebili, anzitutto a Messina, del suo lavoro come magistrato.

L’itinerario professionale di Risicato lo ha portato i primi anni fra le preture di Messina e Reggio, poi sette anni al Tribunale civile di Messina, sei anni alla Pretura penale di Messina, poi c’è stata la “pausa” parlamentare all’ARS (10 anni), e a seguire tre anni come Presidente della prima sezione della Corte d’Assise di Palmi e consigliere della Corte d’Appello di Reggio Calabria, due anni come dirigente della Sezione GIP della Pretura di Messina, infine nove anni come sostituto Procuratore Generale di Venezia.

È lui che costrinse alle dimissioni il sindaco democristiano di Messina Giuseppe Merlino per una storia di assunzioni di falsi invalidi. Lui che l’anno dopo avviò un’indagine sull’abusivismo “d’elite”.

“La più impegnativa – sottolinea oggi l’ex magistrato – è stata l’inchiesta sui cosiddetti Traghetti d’oro, svolta tra molti ostacoli – sia interni (conflitti di competenza sollevati dal Procuratore della Repubblica, superati dalle decisioni della Corte di Cassazione) sia esterni (reticenza dei costruttori  giapponesi sul vero prezzo delle navi, superata dopo le perquisizioni eseguite  a Genova e l’acquisizione di documenti al Ministero della Marina Mercantile). E conclusa con una relazione alla Commissione Parlamentare Inquirente nei confronti dell’ex Ministro Gioia e con l’arresto dell’ex armatore Russotti e dei vertici della società Adriatica di Navigazione e della Finmare”.

E questa non è che una delle sue inchieste, molte delle quali “hanno riguardato il malgoverno della cosa pubblica: abusivismo edilizio, inquinamento dell’ambiente, tutela della salute dei cittadini, e così via; e inoltre, le assunzioni clientelari al Comune di Messina e la tolleranza dei vertici del Genio civile per gravi violazioni della normativa antisismica.

“Tanto tempo è passato da quando Messina era considerata babba

Oggi l’attuale procuratore capo di Messina, Maurizio de Lucia, audito a giugno dalla Commissione nazionale antimafia, ha definito le quattro “aree criminali” nel territorio messinese: quella Barcellonese sul “modello di Palermo”; quella dei Nebrodi, dove i mafiosi hanno deciso di investire con una “spartizione ragionata”, lucrando sui contributi europei per l’agricoltura; quella ionica, tra Taormina Letojanni e Giardini Naxos, dove, oltre alla tradizionale “invasione” delle famiglie catanesi, ci sono una serie di capitali che stanno affluendo dall’estero, “pensiamo ad un tentativo di riciclaggio proveniente dall’Est Europa”, e, infine, la zona di Messina, “con la famiglia dei Romeo legata ai Santapaola”, una famiglia addirittura sovraordinata ai gruppi criminali peloritani.

“E’ ovvio – commenta oggi Elio Risicato – che il Procuratore di Messina sa quello che dice. Una volta Messina era considerata ‘babba’, perché immune da infiltrazioni mafiose, che erano concentrate nella parte occidentale dell’isola. Poi sono apparsi i primi nuclei di criminalità organizzata, nei Nebrodi e a Barcellona, già attivi quando ero in servizio. Ora, evidentemente, questo fenomeno si è esteso in modo grave e preoccupante in tutta la provincia”.

Ma la Giustizia a Messina è priva di personale e di strutture

La cronaca di questi giorni racconta di come la Giustizia a Messina sia priva di risorse e di strutture. Sempre De Lucia ha sottolineato in Commissione una condizione di “organico di magistrati e personale giudiziario fortemente sottodimensionato rispetto alle esigenze reali” e “i problemi gravissimi di edilizia giudiziaria, mai risolti, che Messina sconta da decenni, e che costringono ancora oggi ad avere uffici perfino nel seminterrato del Palazzo di giustizia, lì dove dovrebbero esserci invece solo gli archivi”. La prima e più pressante emergenza “è costituita – ha detto il magistrato – dalla recente operazione ‘Nebrodi’ (gennaio 2020), con quasi cento arresti, che quando si trasformerà in procedimento giudiziario, e ormai i tempi sono maturi, richiederà una sforzo organizzativo immenso, allo stato improponibile”.

Non è tutto. Di recente il Csm ha rigettato l’istanza di collocamento fuori ruolo di Concetta Zappalà, attualmente consigliere della Corte di Appello di Messina, che il ministro Alfonso Bonafede, il 30 aprile scorso, aveva chiesto di destinare all’ispettorato generale del ministero della Giustizia con funzioni di ispettore generale. Motivo del rigetto: con il collocamento fuori ruolo di Zappalà l’ufficio giudiziario messinese rischiava una scopertura di organico addirittura del 75%.

“Si tolgono risorse ai servizi essenziali: sanità, giustizia, scuola”

Il tema è centrale, secondo Elio Risicato. “Condivido le considerazioni del dr. De Lucia. Le carenze di organico e strutturali, che esistono anche altrove, diventano più gravi in un contesto territoriale come quello della provincia di Messina, particolarmente esteso ed aspro. Mancano inoltre una legislazione adeguata e un adeguato sistema sanzionatorio, che rendano più efficace l’azione della Magistratura e delle Forze dell’ordine nell’affrontare una realtà in continua evoluzione”.

“È una questione di volontà politica”, chiosa l’ex magistrato. “Si tolgono risorse a servizi pubblici essenziali, come la sanità, la giustizia, la scuola, per destinarle a iniziative improduttive come i vari sussidi distribuiti a pioggia in questi anni, che danno poco ma tolgono molto in termini di qualità e tempestività dei servizi forniti al cittadino. Inoltre molte leggi vengono emanate senza provvedere a fornire i mezzi per attuarle: si pensi allo stesso ‘nuovo’ codice di procedura penale, che avrebbe richiesto maggiori strutture edilizie e un maggior numero di collaboratori, che non si sono ancora visti, con conseguente allungamento dei tempi della giustizia”.

Il “caso Palamara” e i suoi effetti, tra polemiche e riforme

A domanda risponde, Elio Risicato. Ed ecco che, chiamato a commentare il “caso Palamara”, dice quanto segue: “Mi ricordo un confronto televisivo che Palamara ebbe tanti anni fa con l’ex presidente Cossiga, che lo definì ‘faccia di tonno’ e pronunciò molte frasi offensive. Ma, a parte il linguaggio poco riguardoso ma quasi profetico usato da Cossiga nei confronti del personaggio, questo caso non rivela nulla di nuovo: porta alla luce una prassi consolidata di spartizione delle cariche direttive, spesso sostenuta dalle forze politiche presenti nel Csm, che non sempre privilegia i migliori. Cessato il polverone, tutto potrebbe concludersi con qualche sanzione disciplinare”.

“Rimpiango i tempi della ‘questione morale’ di Enrico Berlinguer”

Sui tentativi di autoriforma del Csm, Risicato è netto. “Il Csm è stato centro di discussione e proposta di temi di grande rilevanza politica, in ambito giudiziario e non solo, che hanno formato oggetto di attenzione e considerazione da parte del legislatore e delle forze politiche che allora erano presenti in  Parlamento. Ricordo in particolare i tempi della presidenza Pertini e di alcuni grandi magistrati che allora componevano il Consiglio. Evidentemente la situazione è cambiata, così come – del resto – è cambiato l’intero contesto politico e sociale del Paese, in cui i cittadini sembrano diventati indifferenti alla mediocrità che ci circonda. È ovvio che bisogna superare questo pantano, ma non bastano i ritocchi di facciata proposti da diverse parti (quali lo scioglimento delle ‘correnti’, una nuova legge elettorale, una diversa composizione del Consiglio, ecc.) ma occorre intervenire sul metodo di lavoro, realizzando la trasparenza delle decisioni, sulla base di regole di comportamento certe e non modificabili secondo le convenienze del momento. Intervenendo, se occorre, sulla legge che disciplina l’ordinamento giudiziario”.

In conclusione, dice, “guardando da fuori questa e altre vicende, e tutte le polemiche che le stanno accompagnando, rimpiango i tempi della ‘questione morale’ di Enrico Berlinguer”.

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