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Avezzano, nucleo industriale: incendio nella notte
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Incendio di Avezzano: esposto-denuncia dall’Associazione nazionale per la lotta contro le illegalità e le mafie “Antonino Caponnetto”

Pubblicato il 20 Luglio, 2020

Incendio di Avezzano: un esposto-denuncia è stato presentato presso la Procura di L’Aquila dall’Associazione Nazionale per la lotta contro le illegalità e le mafie “Antonino Caponnetto”. Si chiede alla Direzione distrettuale antimafia di approfondire le indagini sull’incendio al Centro di riciclo, dopo l’inchiesta partita dalla Procura di Avezzano. L’ipotesi di reato è di Disastro Ambientale, cui si aggiungono altri reati ipotizzabili.

Incendio di Avezzano: ecco quanto si legge nell’esposto

“Ma quali sono, secondo la Commissione bicamerale, le cause di un fenomeno così rilevante ed in deciso aumento? Trattasi di incendi accidentali, colposi o dolosi? Dalle risposte delle varie procure della Repubblica alla Commissione, risulta che almeno un terzo di questi incendi non è stato neppure segnalato alla magistratura; ma, anche quando segnalazione vi è stata, il tutto si è generalmente concluso con l’archiviazione (quasi sempre perché ignoti gli autori) e solo nel 13% dei casi si è esercitata l’azione penale; non tanto però per il delitto di incendio, doloso o colposo (solo 5 casi), quanto − ed è significativo− per altri reati, di tipo ambientale, derivanti da irregolarità nella gestione degli impianti. Ed è altrettanto significativo ricordare che, in proposito, Roberto Pennisi, magistrato della Direzione generale antimafia, ha dichiarato che «l’autocombustione non esiste» e che dietro questi incendi «vi sono solo interessi criminali» in quanto «si brucia per coprire altri reati».

Del resto, sempre la Commissione bicamerale ha evidenziato tra le cause del fenomeno «la possibilità, determinata da congiunture nazionali e internazionali, di sovraccarico di materia non gestibile, che quindi dà luogo a incendi dolosi “liberatori” »; richiamando la circostanza che dal 2017 la Cina ha imposto un drastico giro di vite alle importazioni di rifiuti, specie italiani, chiudendo oltre seicento aziende per avere importato rifiuti non adeguatamente trattati e vietando la importazione di una serie di rifiuti solidi destinati al riciclo in quel paese; soprattutto con riferimento ai rifiuti di imballaggio in plastica ed ai rifiuti cd. “plastica e gomma”, che prima trovavano collocazione, spesso “bonaria”, nei Paesi asiatici.

Ed è ancora più significativo, a questo punto, evidenziare che molti degli impianti andati a fuoco erano di supporto alla raccolta differenziata ed erano gestiti o, comunque, in rapporti commerciali da e con soggetti già indagati o condannati per reati relativi alla violazione della normativa sui rifiuti: in particolare per il delitto di traffico illecito.

Così come spesso ricorre la circostanza che si trattava di impianti già oggetto di incendio in precedenza o di impianti per cui erano in programma o in corso controlli da parte delle autorità competenti.

Appare, quindi, fondato il sospetto che buona parte di questi incendi servano a risolvere situazioni di illegalità divenute ingombranti o pericolose per le stesse imprese andate a fuoco”.

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