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Indiscrezione New York Times: la procura di Manhattan indaga Trump per frode bancaria

Nel depositare nuovi atti per stimolare Donald Trump a consegnare le dichiarazioni fiscali degli ultimi otto anni, riferite a lui e alla sua azienda, la procura di Manhattan ha fatto intendere che sta portando avanti un’indagine sul presidente degli Stati Uniti e la sua società, per una possibile frode bancaria e assicurativa.

Pubblicato il 4 Agosto, 2020

Nel depositare nuovi atti per stimolare Donald Trump a consegnare le dichiarazioni fiscali degli ultimi otto anni, riferite a lui e alla sua azienda, la procura di Manhattan ha fatto intendere che sta portando avanti un’indagine sul presidente degli Stati Uniti e la sua società, per una possibile frode bancaria e assicurativa.


È il New York Times a lanciare questa suggestione facendo riferimento alla richiesta da parte dell’ufficio del procuratore distrettuale di Manhattan, Cyrus R. Vance Jr., verso i contabili di Trump per avere tutta la documentazione fiscale relativa agli ultimi otto anni. Secondo la testata giornalistica il procuratore starebbe compiendo un’indagine sul presidente e sulla Trump Organization ipotizzando possibili frodi bancarie e assicurative.


Trump aveva ricevuto di recente una citazione da un grand jury, che lo chiamava a fornire alla procura di Manhattan i suoi documenti fiscali, ma si era subito appellato a un giudice con l’intento di far dichiarare non valido il mandato di comparizione. Il procuratore distrettuale non sembra però intenzionato ad arrendersi e insiste affinché Donald Trump si conformi a quanto già stabilito nella citazione della corte.
Questa nuova inchiesta, dice il New York Times, sarebbe più ampia di quelle eseguite in passato a riguardo di alcuni pagamenti verso due donne che durante la campagna elettorale del 2016 avevano raccontato di loro rapporti con Trump.


Nei nuovi atti depositati non si fa esplicita menzione di quale sia l’oggetto delle verifiche perché, a norma di legge, l’indagine deve essere condotta in segreto. Nonostante ciò si lascia intendere che alcune affermazioni definite come “indiscusse”, contenute nella documentazione precedentemente vagliata dalla corte, assieme a nuovi elementi apparsi in alcuni report giornalistici costituirebbero le basi per una citazione in giudizio.
Nel fascicolo si afferma infatti che “Alla luce di questi resoconti pubblici di probabili estese e protratte condotte criminali presso la Trump Organization” non ci sarebbe nulla di improprio in quanto richiesto dal mandato di comparizione.
Fra i resoconti giornalistici citati dai pubblici ministeri se ne trova uno in cui si ipotizza che il presidente Trump abbia illegalmente gonfiato il dato relativo al suo patrimonio netto e al valore delle sue proprietà. Ma fra le carte sembra ci sia anche altro, come ad esempio una testimonianza resa dal suo ex avvocato, Michael D. Cohen, nel 2019. In quell’occasione Cohen aveva raccontato di una frode assicurativa commessa dal presidente e i legali di Trump si erano affrettati a smentire ogni addebito.

In merito alla mossa fatta da Vance di citare delle accuse pubbliche di illecito, l’ex vice procuratore distrettuale di Manhattan Rebecca Roiphe sostiene che tale strategia ha permesso al procuratore di Manhattan di difendere la propria citazione senza svelare il reale obiettivo delle indagini in corso.

Interrogato sulla questione, durante uno dei consueti briefing presso la Casa Bianca, Trump ha definito l’inchiesta come la “continuazione della peggior caccia alle streghe nella storia americana” e, supponendo che dietro ci sia lo zampino dei Democratici, ha commentato “È una cosa terribile quella che fanno. È davvero una cosa terribile.”
Vance in effetti è un democratico che nel 2019 ha citato in giudizio la società Mazars USA, avente in gestione la contabilità di Trump, per le dichiarazioni fiscali e altra documentazione finanziaria risalente all’anno 2011. Al fine di schermarsi da questa indagine e non sottostare alla citazione in giudizio il presidente degli Stati Uniti aveva sostenuto che la sua carica lo rendeva immune dalle indagini penali condotte a livello statale. Il caso però non si è spento sul nascere, come avrebbe auspicato Trump, ma si è fatto strada nei tribunali federali fino a quanto, lo scorso mese, la Corte Suprema ha respinto la presunzione di immunità sostenuta dal presidente. A quel punto i pubblici ministeri hanno ripreso il loro lavorio ma, al contempo, il parere della corte ha offerto anche a Donald Trump un’altra chance, ovvero quella di rivolgersi a un tribunale di grado inferiore presso il distretto di Manhattan.

Ora la vera preoccupazione di coloro che stanno conducendo l’inchiesta è che il presidente, tornando a un tribunale di grado inferiore, riesca a ottenere un tale ritardo da far scadere i termini mandando tutto in prescrizione e, conseguentemente, consegnando a Trump la desiderata immunità.

Fonte: Adnkronos 03/08/2020 Ore 22:23, ANSA 03/08/2020 Ore 23:20 – New York Times 03/08/2020

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