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Il mostro di Roma: delitto, devianza e reazione sociale nell'Italia del Ventennio

Il mostro di Roma: delitto, devianza e reazione sociale nell’Italia del Ventennio

Pubblicato il 25 Settembre, 2020

Il mostro di Roma mise a dura prova l’Italia del Ventennio: nella Capitale, uccideva e violentava. Si trattò dello stupro di sette bambine e dell’omicidio di cinque di loro, dal 1924 in poi.
Un serial killer si aggirava per le strade: bisognava dimostrare l’efficienza dell’apparato. Era necessario identificare un colpevole, dati i diffusissimi malumori dell’opinione pubblica, che creava folle consistenti ai funerali delle vittime. Quale sarebbe stata la sorte, altrimenti, del Regime difensore della Legge e dell’Ordine, mentre si stava fascistizzando l’Italia? Fu fatto il nome di Gino Girolimoni. L’uomo fu in seguito assolto per non aver commesso il fatto: lo stesso pubblico ministero aveva chiesto l’assoluzione per insufficienza di prove. Nonostante ciò, posto che all’epoca dei fatti una rettifica che si trovasse, nell’euritmia del giornale, nella stessa posizione della notizia errata non fu mai posta in essere, il suo nome era e resta sinonimo di depravato. Il vero assassino non è mai stato trovato: il clamore mediatico ha avuto l’unico risultato di fermare la mano dell’assassino, chiunque egli fosse, poiché dal 1927 in poi non ci furono più vittime. Furono i giornali a processare, sommariamente, Gino Girolimoni.

Ai giorni nostri Luca Marrone, professore universitario che vive ad Avezzano, ha fatto lezione in Roma in un master sull’argomento: il materiale era sovrabbondante e qualitativamente importante, si riscontrava la possibilità di farne un libro.
Mentre parliamo l’autore, criminologo, visibile nella foto in evidenza, pone in essere le ricerche per il nuovo testo su Jack lo Squartatore, in modo da concludere la trilogia.

Il mostro di Roma: una vicenda attuale

Si legge nel suo testo: “Da più di un punto di vista, ritengo, il caso del mostro di Roma ben potrebbe definirsi paradigmatico e idoneo a prefigurare certe attuali modalità di percezione sociale e di gestione mediatica dell’indagine poliziesca e delle sue evoluzioni processuali. Sotto questo aspetto, oltre che per la specifica, aberrante tipologia di delitti commessi, la vicenda continua a rivelarsi drammaticamente attuale e a giustificare il perdurante interesse di storici, giornalisti, criminologi e, in generale, di quanti riservano attenzione alle cronache giudiziarie”.

Il libro “Il Mostro di Roma. Delitto, devianza e reazione sociale nell’Italia del Ventennio”, pubblicato a luglio da Aras Edizioni, conta 206 pagine per un prezzo pari a 19 euro. Abbiamo raggiunto e intervistato l’autore. Queste le sue parole. “Quanto è stato attuato durante la vicenda rende palese la necessità di un approccio consapevole, che si basi su una valutazione comportamentale. E’ in evidenza il modo in cui le relative indagini sono state raccontate dai giornali, prefigurando quella particolare tipologia di fenomeno sociale che oggi siamo soliti definire processo mediatico. I giornali dell’epoca, con le loro cronache divise tra compiacimento del truculento e del patetico e ossequio estatico agli apparati polizieschi del neonato regime fascista non hanno dato, probabilmente, un’immagine di sé troppo edificante”.
Parliamo di Gino Girolimoni. “Fu costretto a trascorrere undici mesi in carcere, poi fu scagionato. Come uomo, era una figura atipica: il classico caso di self made man, di matrice statunitense. Aveva una sessualità estrosa e da fotografo amava le pose osé, niente di più. Forse per questo fu ‘attenzionato’, per utilizzare un’espressione poliziesca, dalle Forze dell’Ordine. Dal punto di vista personologico, non aveva qualità sovrapponibili a quelle di un pedofilo.” Che cosa si legge di utile, in particolare, negli atti del processo? “Le deposizioni dei testimoni, che fornirono dati tutto sommato convergenti, parlano di un uomo tra i 35 e i 45 anni, dai baffi sottili: di un signore elegante, che si aggirava nelle zone popolari che costituivano la sua ‘riserva di caccia’, caratterizzate da altissima densità di popolazione. Questi non apparteneva al contesto. La voce di chi assiste, comunque, è sempre opinabile: incidono percezione e ricordo”. A parte la versione ufficiale, bisogna considerare utili altri punti di vista? “Un poliziotto italiano, Giuseppe Dosi, aveva proposto come colpevole un pedofilo conclamato. Si trattava di un pastore, che si occupava di una Chiesa protestante a Roma: in un primo momento fu confinato a Capri, poi fu rimpatriato. I giornali diedero poco risalto alla vicenda. Ralph Lionel Brydges, suddito britannico, era un settantenne: si disse anche che, essendo molto prestante e dinamico, potesse essere stato scambiato per un uomo nel pieno della maturità. Questi, tuttavia, fu infine dichiarato estraneo ai fatti. Nel libro metto in evidenza i limiti di questa ricostruzione, posto che si tratta comunque di un lavoro rilevante, che non deve essere screditato”.
Con quale disposizione d’animo ha scritto il libro? “Mentre svolgevo le ricerche, ero accompagnato da un’indignazione fortissima. A quanto pare, dal punto di vista della Dittatura, bisognava trovare comunque un colpevole, chiunque egli fosse. Questo libro contiene e implica prese di posizione, fermo restando il fatto che non bisogna far altro che seguire i dati. Le prove, del resto, erano inconsistenti, come detto, nei confronti del capro espiatorio. Non mancano, inoltre, documenti manipolati. C’è un’agenda dalla quale furono tagliate alcune pagine: alla data di uno dei delitti, Gino Girolimoni si trovava fuori Roma. Fatte le dovute precisazioni torno a sottolineare che, in generale, non ho certezze”.
“Le prove schiaccianti a volte sono un vero imbroglio […] Sembrano indicare una cosa con la massima chiarezza, ma se si sposta appena un po’ il proprio punto di vista, possono indicare con altrettanta chiarezza una cosa completamente diversa”. Arthur Conan Doyle

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