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San Marone, il martirio di un grande protoapostolo

San Marone, il martirio di un grande protoapostolo

Pubblicato il 25 Agosto, 2020

Fu condannato da Roma ai lavori forzati in campagna, pena leggera per un protoapostolo come lui. Per questo, perché lavorava la terra, è raffigurato con una zappa come segno distintivo, l’altro è un masso: racconta la leggenda che il governatore dell’antica Cluana, la Civitanova attuale, gli fece tirare addosso proprio quel gigantesco sasso ma non lo uccise. Lo decapitarono, dunque.

Con la solita bella e documentata conferenza organizzata al Cinciallegra dal Centro studi civitanovesi, con Roberto Carlo Marsili nella mansione di deus ex machina, affiancato dallo storico Alvise Manni, si è potuto ricostruire il profilo del santo della città. Marone martire, da non confondersi con l’altro omonimo che fondò la chiesa maronita e oggi patrono del Libano.

Un santo che si è immolato, nella perfetta consapevolezza di farlo, perchè primo ad avangelizzare questa nostra terra che era dei Piceni. Visse e morì in questo tempo lontanissimo, cento anni dopo la morte di Cristo.

La sua iconografia dice pure che salvò la figlia del re di Urbisaglia da un drago che era alla foce del Chienti: leggenda, ma fino al Settecento lo stemma di Civitanova raffigurava le spire del dragone che avvolgevano la fanciulla nell’abbraccio mortale, fino a quando San Marone non la salvò. Un’immagine che forse ha voluto testimoniare nel tempo l’opera dell’apostolo Marone, liberare questa terra dal paganesimo, e il drago in questo caso sarebbero i Piceni.

Ma Civitanova ha come patrona anche Santa Maria Apparente, “alba ut sol”, bianca come il sole, che un pastorello vide allo stesso modo di molte apparizioni mariane e in quel punto sorse un santuario. Solo da tre anni c’è poi un terzo patrono, vissuto molto più recentemente (parliamo di un secolo fa): è San Gabriele dell’Addolorata, patrono anche dell’Abruzzo.

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