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Il tormentone di TikTok e WeChat: la "guerra fredda" digitale Usa-Cina

Il tormentone di TikTok e WeChat: la “guerra fredda” digitale Usa-Cina

Il tormentone di TikTok e WeChat: la “guerra fredda” digitale Usa-Cina

Pubblicato il 26 Agosto, 2020

Fa sempre più rumore il tormentone di TikTok e WeChat, la telenovela dell’estate e, in una parola, una vera e propria “guerra fredda” digitale tra Usa e Cina.

Sono due le app “made in China”, infatti, messe al bando da Donald Trump. A sorpresa, insieme a TikTok, il divieto colpisce anche WeChat, con conseguenze più profonde anche per l’industria americana (Apple in testa). Mentre TikTok è un fenomeno recente ed è stata un successo soprattutto fra adolescenti, WeChat (in cinese Weixin, letteralmente “micromessaggi”) è l’app di messaggistica più popolare in Cina, usata da tutti, di proprietà del gigante tecnologico cinese Tencent, conta su più di un miliardo di utenti mensili, appena dietro WhatsApp e Messenger di Facebook.

WeChat: cos’è?

Wechat è il Whatsapp cinese, che è quasi più importante di TikTok. Lanciato nel 2011, ha 1,2 miliardi di utenti. E soprattutto, è l’app fa da ponte tra i cinesi e il resto del mondo. In Cina niente WhatsApp, niente Google, niente Facebook o Instagram e tutto ciò che per noi occidentali è app quotidiana.

WeChat, la super -app cinese all inclusive, è il sogno proibito di qualsiasi Big Tech, da Facebook a Google, con più di un miliardo di utenti attivi che ci passano circa 4 ore al giorno. E’, anche, un insieme di servizi, un po’ WhatsApp, un po’ Telegram, un po’ TikTok, un po’ Spotify, un po’ Uber o Freenow (l’app per i taxi), un po’ Glovo, un po’ borsellino digitale, un po’ lettore di barcode, un po’ app del nostro Comune e, soprattutto, una piattaforma su cui integrare servizi web commerciali di chiunque (acquistare musica e film o mantenersi informati, richiedere certificati al Comune, scommettere sugli eventi sportivi).

TikTok: il social più amato dalla Generazione Z

La guerra attorno a TikTok, il social più amato dalla Generazione Z, figli della X Generation, i nativi digitali, coloro che non hanno mai conosciuto un mondo senza internet, smartphone o i-Pod, si sta consumando, a puntate, da Ferragosto e,pare, fino all’inizio dell’autunno, tra una Cina che prova a riprendersi dal Coronavirus, prima di tutti, e un’America che si prepara a scegliere il suo nuovo leader. TikTok sembra l’unico player capace di poter spezzare il monopolio americano, grazie al suo respiro internazionale, i suoi manager occidentali e le sue sedi europee.

Il social, nato nel 2018, dalla fusione tra la cinese TikTok e la vecchia Musical.ly, app di sincronizzazione video-audio creata da due cinesi, è stato scaricato da quasi 2 miliardi di persone. Punti di forza sono la scarsità di parole nella creazione dei contenuti, e quindi di barriere linguistiche, il sistema di editing video migliore al mondo, che in poche mosse permette di creare clip da 15 a 60 secondi abbinare a musica, effetti sonori e filtri. Fatturato previsto nel 2020: 25 miliardi di dollari.

TikTok e WeChat: sono finiti nel mirino di Trump, nemico della Cina

Il Presidente Trump, sta portando avanti una crociata contro le aziende cinesi, che a suo dire sarebbero il cavallo di Troia dei leader di Pechino per acquisire informazioni e dati sugli americani. Lo ha fatto prima con Huawei, ora con TikTok e Wechat.

Trump ha messo al bando TikTok e WeChat: le 4 mosse

Il 6 agosto scorso, infatti, il Presidente degli USA ha emesso un ordine esecutivo in cui dice tre cose. Primo, le due app servono a catturare tantissimi dati sugli utenti che le usano. Secondo, che con quei dati il Partito comunista di Pechino potrebbe rubare segreti industriali, spiare e ricattare cittadini americani e dipendenti federali. Terzo, che per evitare tutto questo, ogni azienda o privato americano non dovrà fare affari od operare transazioni con le aziende che gestiscono TikTok o WeChat. Quarto, che entro 45 giorni TikTok dovrà cedere le sue attività statunitensi a un’azienda Usa. Altrimenti l’app sarà vietata in America.

TikTok: le accuse non sono provate

In una realtà come la Cina è obiettivamente difficile pensare che un’azienda da 2 miliardi di utenti non abbia qualche legame con il governo di Pechino e con i suoi servizi di sicurezza (dinamica che peraltro è stata dimostrata ampiamente per i social americani). Ma l’ordine esecutivo di Trump è senza precedenti. «È interamente basato su speculazioni, congetture e la solita retorica anti-cinese», ha fatto sapere una fonte dirigenziale di TikTok. E ancora – riferiscono: “L’ordine esecutivo è partito senza nessuna indagine, accusa circostanziata, preavviso o concessione di diritto di replica”.

Secondo il New York Times, molte aziende hanno già sospeso i contratti di sponsorizzazione già firmati con gli influencer Usa, in attesa di capire come evolverà la situazione.

A comprare TikTok si è fatta avanti Microsoft e…non solo

Microsoft è fortissima nel mercato dei software da ufficio. Ma è piuttosto scarsa nei servizi per i consumatori diretti. Tra le altre cose ha comprato il videogioco Minecraft, il social LinkedIn. Adesso punterebbe alla divisione americana di TikTok con la sua community di 100 milioni di giovanissimi utenti americani. A farsi avanti sarebbe stata anche Twitter (c’è chi parla anche di Netflix) ma, a oggi, l’acquirente più probabile pare Microsoft. L’operazione sarebbe valutata fino a 50 miliardi di dollari.

È calata, dunque, puntata dopo puntata, una nuova cortina di ferro digitale tra Usa e Cina, in guerra per garantirsi l’egemonia tecnologica, ma come finirà?

Difficile prevedere gli esiti della guerra. Improbabile che Trump “chiuda” il social, inimicandosi 100 milioni di americani in vista delle elezioni di novembre. Difficile pure che Pechino rinunci alla sua divisione estera più importante. Certo è che lo scenario peggiore sarebbe quello di un trionfo sovranista nel senso di una “nazionalizzazione” dei social, di una lista nera da parte dell’America in cui far rientrare tutti quei social, piattaforme e app che non sono a controllo americano favorendo, così, un monopolio in Occidente dei big della Silicon Valley.

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