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9/11: La reazione politica e militare del Paese

“Gli attacchi terroristici possono scuotere le fondamenta dei nostri edifici più grandi, ma non possono toccare le fondamenta dell’America. Questi atti frantumano l’acciaio, ma non possono intaccare l’acciaio della determinazione americana.” Con queste parole, alle nove della triste sera del 11 settembre 2001, il presidente degli Stati Uniti George W. Bush spronava il Paese a reagire.

Pubblicato il 11 Settembre, 2020

“Gli attacchi terroristici possono scuotere le fondamenta dei nostri edifici più grandi, ma non possono toccare le fondamenta dell’America. Questi atti frantumano l’acciaio, ma non possono intaccare l’acciaio della determinazione americana.” Con queste parole, alle nove della triste sera del 11 settembre 2001, il presidente degli Stati Uniti George W. Bush spronava il Paese a reagire.


Quella mattina il presidente si trovata in una scuola nella contea di Sarasota, in Florida. Poco prima di entrare in una classe per incontrare gli alunni della seconda elementare fu contattato e gli fu detto che un aereo, presumibilmente un piccolo veicolo a elica, si era schiantato su una delle due Torri Gemelle. Poteva sembrare un caso, un incedente e W. Bush continuò come da programma, parlando con i bambini. Dopo una ventina di minuti però il capo dello staff presidenziale, Andy Card, venne a sapere che l’aereo era grande, di linea e dopo quello ne era comparso un altro che era finito sull’altra torre. Così Card dovette andare dal presidente e davanti ai bambini e ai reporter sussurrargli all’orecchio: “un secondo aereo ha colpito la seconda torre, l’America e sotto attacco”.
George W.Bush fu poi trasferito su l’Air Force One e fatto girare per il Paese, perché non era sicuro farlo rientrare subito alla Casa Bianca che, a quel punto, poteva essere sulla lista degli obbiettivi scelti dai terroristi. Una volta tornato a Washington e davanti alla nazione si affrettò a rilasciare una prima dichiarazione di intenti: “Non faremo distinzione tra i terroristi che hanno commesso questi atti e coloro che li ospitano”.


Il presidente si rivolse perciò al Congresso degli Stati Uniti da cui incassò l’ok per il Patriot Act, una legge che aveva l’obbiettivo di “Unire e rafforzare l’America fornendo gli strumenti appropriati necessari per intercettare e ostacolare il Terrorismo.” Con questo provvedimento si andò a rafforzare il potere delle forze dell’ordine, dando più spazio e libertà di manovra alle operazioni di spionaggio. Una scelta questa che solo poco tempo prima avrebbe fatto sospettare e insorgere il Paese delle libertà ma sotto la pressione degli eventi e della paura generalizzata veniva vista come necessaria, per il bene di tutti.
Poi più avanti, anche considerando le lettere contenenti antrace che si erano viste girare procurando 2 morti e 17 feriti, fu firmata una legge chiamata Homeland Security Act con cui si è voluta creare nuova struttura di controllo denominata Department of Homeland Security.


Al di là del rinforzare il fronte della sicurezza interna il governo Bush si mise al lavoro anche per organizzare una risposta militare, cosa non facile visto che non si sarebbe trattato di combattere contro l’esercito di un paese, che segue ragionamenti più standardizzati e rispetta le regole, alcune delle quali pure condivise col nemico, ma ci si sarebbe trovati ad affrontare un panorama più eterogeneo, imprevedibile e che non comprendeva alcuno scrupolo da parte del nemico.
Gli Stati Uniti si affrettarono dunque a raccogliere in ambito Internationale il consenso necessario per un’operazione corale, tesa ad eradicare i Talebani dai territori dell’Afghanistan in cui avevano attecchito creando un regine. Fra questi c’era Osama bin Laden, il mandante degli attacchi dell’11 settembre, con al sua rete di terroristi chiamata Al-Qaida.
Così il 7 ottobre del 2001 partì l’Operazione Enduring Freedom (OEF, operazione libertà duratura) a cui, oltre l’America, presero parte anche Austria, Canada, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia e Polonia, con in aggiunta il contributo di altri 14 stati. All’operazione aderirono anche alcuni stati islamici come il Bahrein e la Giordania che collaborarono direttamente, l’Uzbekistan che mise a disposizione delle basi logistiche e il Pakistan.

Dopo due mesi, in cui americani e britannici andarono in supporto all’Alleanza del Nord bombardando massicciamente dal cielo porzioni del territorio afgano, i centri di Mazar-i-Sharif , Kabul, Konduz e Kandahar furono liberati. I Talebani però trovarono il modo di trasferirsi in aree più impervie, sulle montane al confine con il Pakistan, dove riuscirono a riorganizzarsi. Parallelamente, a Kabul si insediò un nuovo governo con alla guida Hamid Karzai, sostenuto dalle forze che partecipavano all’operazione militare.
Ma Nonostante gli eserciti si stessero impegnando sul territorio afgano il primo responsabile della tragedia del 9/11, Osama bin Laden, rimaneva ancora in libertà, sfidando una volta di più gli americani.
L’obbiettivo della sua eliminazione resterà in cima alla lista per ben dieci anni, fino ad arrivare alla presidenza Obama durante la quale, il 2 maggio del 2011, l’esercito americano individuò il suo nemico numero uno in nascondiglio presso Abbottabad, in Pakistan. L’ordine fu quello di ucciderlo e così fu fatto, avendo cura di disfarsi del cadavere per evitarne ogni possibile venerazione, in qualunque luogo fosse stato sotterrato.

Di quel periodo, oltre a una situazione in Afganistan non ancora risolta, rimane agli americani il Department of Homeland Security che proprio in questo momento sta lavorando a pieno regime, per cercare di evitare le ingerenze degli stati esteri negli affari americani, come le elezioni presidenziali. È infatti da questo dipartimento che ora escono i report sui nuovi attacchi, portati in forma digitale, il cui scopo è quello di disseminare il caos nel Paese rendendolo ingestibile.
Con l’evoluzione della scienza e della tecnologia si è verificato anche un aggiornamento nel modus operandi con cui agiscono coloro che vogliono far vivere le popolazioni in una costante incertezza e nell’ansia, per poterne poi trarre vantaggio.

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