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9/11 L’America, un paese ferito

Gli USA, il paese più potente, rispettato e temuto al mondo. Il Pentagono, un simbolo di sicurezza e controllo ben oltre i confini nazionali. Ma soprattutto lei, New York, la città delle città, la più iconica e rappresentativa dei nostri tempi. Un sistema di ideali e simboli condivisi, non solo fra i cittadini americani ma in larga parte del pianeta. Un giorno però decollano quattro aerei di linea e tutto quello che appariva certo e faceva da riferimento per molti viene improvvisamente messo in dubbio, lasciando segni indelebili.

Pubblicato il 11 Settembre, 2020

Gli USA, il paese più potente, rispettato e temuto al mondo. Il Pentagono, un simbolo di sicurezza e controllo ben oltre i confini nazionali. Ma soprattutto lei, New York, la città delle città, la più iconica e rappresentativa dei nostri tempi. Un sistema di ideali e simboli condivisi, non solo fra i cittadini americani ma in larga parte del pianeta. Un giorno però decollano quattro aerei di linea e tutto quello che appariva certo e faceva da riferimento per molti viene improvvisamente messo in dubbio, lasciando segni indelebili.


Molti di noi sono cresciuti con davanti un certo dipinto dell’America, il paese che entrando nella Seconda Guerra Mondiale aveva cambiato le sorti della partita, influenzando poi ogni ricostruzione, fisica o culturale che fosse, nell’occidente post-bellico. Gli Stati Uniti, con il loro esercito ben organizzato e fornito di moderne dotazioni, sembravano difficili da scalfire. Tuttavia, la preoccupazione per gli atti terroristici stava crescendo. Nessun paese avrebbe mai avuto l’idea di colpire direttamente il territorio americano ma alcuni gruppi avrebbero potuto provarci, con alcuni individui mandati al sacrificio in missioni suicide.
La popolazione però pensava di essere abbastanza al sicuro e confidava nella capacità dello stato di intercettare le eventuali minacce. Del resto, si era tanto temuto per il Y2K a New York ma poi era filato tutto liscio. Solo tanta spazzatura in giro a causa dei festeggiamenti per l’entrata nel nuovo secolo, ma il rafforzamento dei sistemi di sicurezza aveva scongiurato eventuali tentativi di portare il terrore nel bel mezzo della festa.


In questa situazione di calma apparente e con un governo relativamente nuovo, arrivato dopo un’elezione presidenziale terminata fra polemiche e riconteggi, accade quello che neanche nei film di Hollywood avevano mai osato immaginare, nonostante agli studi cinematografici di fantasia e gusto per la catastrofe ne avessero un bel po’.
In un lasso di tempo di meno di due ore (dalle 8:45 alle 10:10:am) le più banali certezze dei cittadini americani scompaiono e ogni tipo di dubbio, di paura si affaccia.
Un manipolo di terroristi islamici, sparpagliati su due Boeing 767 e due Boeing 757, mettono nel mirino New York, come simbolo della potenza economica americana, il Pentagono in quanto nocciolo della difesa degli Stati Uniti e un quarto obiettivo di cui non si ha certezza, ma avrebbe potuto essere Washington se i passeggeri del volo United 93 non si fossero ribellati e sacrificati per il bene di altri cittadini.
Una cosa sconvolgente, totalmente inattesa, inimmaginata. In un baleno la popolazione balza dalla routine al peggior incubo, ovvero la guerra in casa, fra i propri palazzi e le proprie strade.


Un limpido martedì mattinata, la gente che si avvia a svolgere le proprie attività lavorative, gli studenti iniziano la loro giornata nelle scuole e nelle università, i turisti sono pronti ad andare alla scoperta della città, quanto il volo American Airlines 11 deviando dalla sua rotta si getta sulla Torre Nord del World Trade Center con i sui 20.000 galloni di carburante, nel più totale stupore di chi si trova ad assistere alla scena. Ma poteva sembrare un incidente, una tragica fatalità non un attacco. 18 minuti dopo però anche quella minima speranza si dissolve, con la comparsa del volo United Airlines 175 nel cielo di New York e il suo schianto all’altezza del 60° piano della Torre Sud. A quel punto sì, è chiaro che qualcuno è riuscito ad attaccare gli Stati Uniti, direttamente al cuore della sua città più importante e famosa.


La notizia inizia a circolare, supera gli oceani e approda ovunque portandosi dietro lo stupore per qualcosa che sembrava impossibile.
La gente piombata nell’angoscia inizia a ricercare informazioni, tenta di contattare amici e parenti, per sapere se c’erano ancora e se stavano bene. Alcuni non hanno fortuna, nessuno risponde, altri continuano a cercare i famigliari e dopo ore di ansia e paura li ritrovano. Altri che come ogni mattina erano giunti a Manhattan dai sobborghi, dai comuni o stati limitrofi, per lavorare o studiare si trovano intrappolati in città per il blocco dei mezzi di trasporto e assistono al via vai di ambulanze e mezzi di qualsiasi corpo in grado di intervenire sull’emergenza e gestire il caos. Tutto ciò mentre il fumo degli incendi e le polveri del crollo delle Torri Gemelle si spargono nei quartieri della Downtown, creando i presupposti per l’insorgenza di seri problemi di salute in molte persone, anche a distanza di anni.


Immagini inimmaginabili iniziano a fare il giro del pianeta grazie alla massiccia copertura mediatica. Alle foto e i video provenienti dall’inferno di New York si aggiungono le testimonianze dello schianto del volo American Airlines 77 sull’edificio del U.S. Department of Defense, noto a tutti come Pentagono. Anche questo un evento al di là di ogni parto di creatività. Perché andare a pensare che il quartier generale dell’esercito americano potesse essere centrato da un aereo era veramente un’esagerazione, fino alle ore 9:45am del 11 settembre 2001.
Ed è stata questa forse la cosa più brutta per l’America, essere colpita gravemente alle sue più fondate certezze. Il nemico si era mescolato fra gli americani, aveva viaggiato indistinto, inosservato tanto che a quel punto diventava lecito non fidarsi più di nessuno. Il nemico era riuscito a sfregiare anche un simbolo chiave dell’esercito, quello che avrebbe dovuto difendere la popolazione, intercettare per tempo il pericolo.


Psicologicamente parlando questo è stato devastante per tutti e ha portato nella gente tanta e tale incertezza da consentire, in una fase successiva, la cessione di alcune posizioni sul fronte della privacy, nel tentativo di aiutare l’intelligence a fare sorveglianza e investigazione contro il terrorismo.
L’America è sempre stata una terra di libertà, dove le persone possono dire quello che vogliono, credere in quello che vogliono, andare più o meno dove vogliono, eventualmente difendersi da soli con armi che gli si accorda di detenere legalmente e pensare di introdurre maggiori controlli andava oltre gli standard di pensiero. Ma l’onda emozionale che si è originata dall’attacchi coordinati del 9/11 ha fatto superare molte timidezze, le stesse che ora non riesce a saltare neanche il SARS-CoV-2, per il quale pochi territori hanno predisposto una app che possa aiutare il tracciamento dei contatti degli eventuali individui positivi.
Il dramma del 9/11, oltre a insinuare dei dubbi nella cittadinanza sulle reali capacità degli apparati governativi di tenere testa al nemico, ha anche generato molta paranoia e sospetto, che in parte sono stati sfruttati dalle campagne di comunicazione governative per invitare la popolazione a riferire qualsiasi incongruenza, qualsiasi persona o comportamento dubbio. Nelle metropolitane, fra le pubblicità di prodotti e servizi, sono comparsi poster che invitavano i cittadini a tenere gli occhi aperti e osservare gli occhi degli altri. Queste sono cose che a lungo andare incidono sui comportamenti delle persone e sulla percezione che gli uni hanno degli altri.


L’11 settembre 2001 ha inoltre prodotto un’onda lunga sul fronte della salute, soprattutto a New York e fra tutti quelli che si sono trovati esposti, in varia misura e diversa modalità, al dramma del World Trade Center.
L’attacco alle torri ha provocato quasi 3000 morti e 6000 feriti, a cui poi vanno aggiunte le molte persone che si sono ammalate, e alcune pure morte, per malattie derivanti dall’evento del 9/11. Il crollo delle due torri hanno generato un effetto dominino che ha condotto il governo a varare uno specifico programma chiamato World Trace Center Health Program per supportare quanti erano stati feriti direttamente dall’attacco terroristico, o avevano sviluppato patologie (malattie dell’apparato respiratorio, o degenerative, neurologiche), oppure soffrivano di disturbi mentali/comportamentali derivanti dallo stress generatosi durante gli attacchi terroristici. In seguito al 9/11 sono anche stati condotti degli studi sui minori per rilevare le eventuali conseguenze di quel dramma sui più piccoli, che magari non sono stati esposti direttamente all’attacco e al crollo degli edifici ma magari hanno assorbito lo stress e la paranoia dagli adulti, dai loro genitori.


Col passare del tempo, mentre si smorzava l’ondata emotiva e mediatica del 9/11, con alcuni che addirittura si spingevano a stampare cartoline raffiguranti il World Trade Center in fiamme, i newyorkesi continuavano a portarsi dentro quella terribile esperienza e a seguire bene con gli occhi gli arerei in transito per capire in che direzione stessero andando.
L’attacco al World Trade Center persisteva dell’inconscio dei locali, la paura che con esso si era generata rimaneva, strisciante e subdola, rivelandosi anche in cose apparentemente banali come l’evitare la zona del disastro anche dopo che questa era stata liberata dalle macerie e messa in sicurezza. Si è arrivati anche all’apparente paradosso di vedere la gente proveniente da fuori e i turisti spingersi nella zona di Ground Zero mentre i newyorkesi non volevano avvicinarsi a quel luogo, anche a diversi anni di distanza dal 9/11. In alcuni casi i cittadini di New York, pur non volendo frequentare l’area dell’ex cratere, hanno finito per andarci accompagnando dei parenti in visita, o si sono avvicinati al 9/11 Memorial Museum per portarci i figli dopo che questi hanno sentito i loro insegnanti parlarne in classe.


Al pesante bilancio in termini di vittime e conseguenze sul piano sanitario si è poi affiancato anche il resoconto dei danni di natura economica. Considerando New York, si è visto lo Stock Exchange chiuso per diversi giorni e poi il mercato azionario crollare del 7,1% (-864 punti) appena le porte di Wall Street si sono riaperte. Inoltre, l’economia della città si è ritrovata a perdere ben 143.000 posti di lavoro al mese e 2,8 miliardi di dollari di salari nei tre mesi successivi al 9/11. Molto duro è stato l’impatto sulla finanza e sul trasporto aereo, ambiti in cui si è perso il 60% dei posti di lavoro. Parlando invece di danni materiali conseguenti al crollo degli edifici del World Tarde Center, si stimano perdite nell’ordine dei 60 miliardi di dollari e una spesa di 750 milioni solo per la rimozione dei detriti di Ground Zero.


L’11 settembre 2001 non è stato solo quello che più palesemente si è visto o si è potuto racchiudere nei numeri, che a volte riescono pure a consolare perché danno una forma finita alle cose. Il 9/11 ha inciso sulla mentalità degli americani che nel tentativo di reagire, di recuperare in sicurezza si sono stretti al concetto di nazione e, in alcuni casi, alla religione.
Quando gli esseri umani perdono le loro certezze, i loro punti fermi, cercano subito di riportare equilibrio in loro stessi e per gli americani la bandiera piazzata fra le macerie è stato qualcosa a cui guardare e in cui credere, per superare anche quell’ostacolo. E in questo ambito, di attaccamento ai valori fondativi degli Stati Uniti, ha trovato le parole anche l’allora presidente George W. Bush che una volta fatto rientrare alla Casa Bianca ha dichiarato: “Gli attacchi terroristici possono scuotere le fondamenta dei nostri edifici più grandi, ma non possono toccare le fondamenta dell’America. Questi atti frantumano l’acciaio, ma non possono intaccare l’acciaio della determinazione americana.”


E in effetti gli americani si unirono e fecero forza fra di loro, come ha ricordato ieri il sindaco di New York Bill De Blasio. L’America si è stretta attorno alla città ferita che ha poi trovato la forza di riprendersi, di ricostruirsi, cercando perfino di migliorare ma senza dimenticare. Ed è così che oggi, nonostante le difficoltà dovute al Covid, New York renderà tributo alle vittime e al sacrificio degli eroi del 9/11 dedicandogli l’annuale ‘Tribute in Light’ in cui dei fasci di luci ricreano le due torri nella notte di Manhattan.

Link: www.911memorial.org

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