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Sima: confermato il legame tra Covid e smog in Pianura Padana

Pubblicato il 29 Settembre, 2020

L’inquinamento si conferma un vettore di trasporto per la diffusione del Covid in Pianura Padana.

Lo ha confermato Alessandro Miani, presidente della Società italiana di medicina ambientale (Sima), annunciando la pubblicazione del position paper Sima sul ‘British Medical Journal’, dopo 7 mesi di accurata peer-review da parte della comunità scientifica internazionale. “Esprimiamo la nostra soddisfazione per l’apprezzamento da parte dei revisori dei dati contenuti nel Position Paper reso noto da Sima il 17 marzo scorso e frutto di una collaborazione con ricercatori delle Università di Bologna, Bari e Trieste”, commenta.
Si tratta “della quarta pubblicazione che abbiamo prodotto dal mese di marzo, quando ci siamo sentiti in dovere di avvertire i decisori politici, nel pieno dell’emergenza Covid, che la distanza di sicurezza di 2 metri (ridotta a 1 metro per gli ambienti indoor dal Cts governativo) non fosse sufficiente a garantire la sicurezza e che era necessario obbligare all’uso della mascherina tutti i cittadini in ogni luogo aperto al pubblico, in un momento in cui si stava ancora discutendo dell’efficacia dei dispositivi di protezione individuale”, ha sottolineato Miani.


“Abbiamo ottenuto la prova definitiva dell’interazione tra particolato atmosferico e virus quando siamo riusciti a isolare tracce di Rna virale in campioni provenienti dai filtri di raccolta del particolato atmosferico prelevati nella provincia di Bergamo durante l’ultima serie di picchi di sforamento di Pm10 avvenuta a fine febbraio, quando le curve di contagio hanno avuto un’improvvisa accelerata facendoci precipitare nell’emergenza sanitaria culminata con il lockdown”, ha spiegato Leonardo Setti, docente di Biochimica industriale all’Alma Mater di Bologna e membro del comitato scientifico Sima.


“Durante l’inverno – ha specificato Gianluigi De Gennaro, professore di Chimica dell’ambiente all’Università di Bari – in pianura padana, è possibile riscontrare anche per diversi giorni consecutivi più di 150.000 particelle per centimetro cubo, con un impatto sulla salute, anche in termini di mortalità evitabile, oramai acclarato dai rapporti annuali dell’Agenzia Europea per l’Ambiente. La pianura padana in inverno è assimilabile ad un ambiente indoor con il soffitto di qualche decina di metri, dove in presenza di una grande circolazione virale le condizioni di stabilità atmosferica, il tasso di umidità e la scarsa ventilazione hanno di fatto aperto al Coronavirus delle vere e proprie ‘autostrade’”.


“Abbiamo analizzato il numero di sforamenti per il Pm10 sopra i 50 µg/m3 per tutte le province italiane – ha aggiunto Prisco Piscitelli, epidemiologo e vicepresidente Sima – considerando il numero di centraline installate, la numerosità e densità della popolazione, oltre al numero medio di pendolari giornalieri e turisti. Il periodo esaminato andava dal 9 al 29 febbraio, in modo da tener conto dei 14 giorni di massima incubazione del virus e quindi degli effetti prodotti nelle prime due settimane di ondata epidemica in Italia (24 febbraio-13 marzo). Su un totale di 41 province del Nord Italia, ben 39 si collocavano nella categoria di massima frequenza di sforamenti, mentre 62 province meridionali su 66 si situavano ai livelli più bassi di inquinamento atmosferico. L’andamento degli sforamenti di Pm2.5 era pressoché sovrapponibile”.

Il risultato della ricerca indica che il superamento del valore limite giornaliero di Pm 10 potrebbero essere un predittore significativo dell’infezione. In sostanza, le province meno inquinate hanno registrato una media di contagi più bassa rispetto alle province più inquinate.

“Nel ribadire che l’inquinamento atmosferico si rivela ancora una volta fonte di gravi danni alla salute, vogliamo tuttavia sottolineare che le evidenze prodotte da Sima non devono spaventare gli attori del mondo del lavoro e delle imprese, ma stimolarli a una ripartenza verde che coniughi il giusto progresso economico con la sostenibilità ambientale necessaria alla tutela della salute umana”, ha concluso Setti. “L’abbandono dei combustibili fossili con una rapida transizione energetica ed ecologica è prospettiva ormai inevitabile per evitare il rapido collasso degli ecosistemi dalle conseguenze imprevedibili e offrirà nuove opportunità economiche e condizioni di lavoro in grado di servirsi al meglio delle nuove tecnologie”, ha aggiunto Miani. “Anche alla luce di queste evidenze, il Recovery Fund deve essere occasione ineludibile per investire non più su azioni accessorie, ma soprattutto su progettualità concrete che possano ridurre nel breve/medio periodo l’impatto dell’uomo sull’ambiente”, conclude l’esperto.

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