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PFAS, le mamme del Comitato Veneto a Roma per chiedere limiti zero

Pubblicato il 5 Ottobre, 2020

Domani e mercoledì 7 ottobre le mamme del Comitato Veneto NO PFAS di Verona, Padova e Vicenza si recheranno a Roma per protestare davanti al Ministero dell’Ambiente e chiedere al Governo di imporre il limite zero agli scarichi in acqua di polifluoroalchilici.

Mentre il Veneto ha approvato una legge che limita in modo stringente i limiti dei PFAS nelle acque (potabili e di scarico), Roma non ha ancora stabilito delle restrizioni rigide a livello nazionale. 

“È dal 2017 che chiediamo limiti a livello nazionale e ora finalmente il Ministero dell’Ambiente sta lavorando al “Collegato Ambientale”, un documento che dovrebbe rappresentare per tutti noi un punto di arrivo, un documento che dovrebbe tutelare la salute di noi cittadini e garantire un ambiente salubre. Ma purtroppo, dopo aver letto attentamente il testo, ci siamo trovate difronte ad una realtà ben diversa da quella in cui avevamo confidato tanto: nel documento sono stati previsti dei valori

limite solo per poche sostanze PFAS, quando al mondo ne esistono ben 4mila”, hanno denunciato in una nota le mamme del Comitato. 

“Nel collegato ambiente sono previsti limiti pfas altissimi per le acque di scarico (20.000 nanogrammi per litro d’acqua)mentre per 6 volte a noi sono stati promessi limiti zero”, ha detto in un video-messaggio Michela Piccoli, membro del Comitato No PFAS. “Con questo collegato qualsiasi azienda può usare una sostanza non citata nella legge e sversarne nelle acque quanta ne vuole. Quello che è successo in Veneto ha portato i livelli di Pfas nel sangue dei veneti tra i più alti al mondo, Mia figlia in un mll del suo sangue ne ha 100 nanogrammi, ovvero 100mila in un litro di sangue. Per cui i 20mila proposti dal Ministero, si tramuteranno un giorno in 100mila in un litro nel sangue di Maria”. 

“Noi non vogliamo uno sviluppo economico che faccia pagare i danni a noi, perchè noi li stiamo già pagando in spese sanitarie, in nuovi approvigionamenti idrici, fonti pulite, filtraggio, irriguo contaminato, in battaglie legali, in battaglie per ottenere una bonifica”, ha sottolineato Piccoli. “Ma questo lo avete messo in conto cari ministri? Vogliamo che le aziende lavorino come si deve, che si dotino di strumenti di bonifica. Se questa legge va in porto, abbiamo finito la battaglia e abbiamo lavorato per niente. Se le le istituzioni non sono in grado di proteggere i nostri figli, questo compito spetta a noi”

Queste le richieste del Comitato:

  • Che i limiti siano pari a ZERO su tutto il territorio nazionale, perché l’acqua non conosce confini e tutti hanno il diritto di utilizzarla;
  • Che siano previsti limiti allo scarico per i fumi e che vengano fissati limiti anche per i fanghi;
  • Che le aziende siano incentivate ad utilizzare impianti a circuito chiuso;
  • Che i controlli siano continui e costanti, non solo 12 rilevazioni all’anno come previsto nella proposta del Collegato ambientale 2020;
  • Che ogni sforamento venga considerato immissione di rifiuti pericolosi in ambiente e le aziende siano obbligate a segnalarlo.
  • Che vengano considerati tutti i PFAS come classe, e non solo 14 PFAS, e che sia indicata una sommatoria che raggruppa tutte le sostanze per e poli-fluoroalchiliche.

I PFAS sono molecole chimiche create dalle aziende per rendere resistenti e repellenti i materiali a grassi ed acqua. Sono usati sin dagli anni ’50 nella filiera di concia delle pelli, nella produzione di carta e cartone per uso alimentare, nei tessuti impermeabili, per rivestire le padelle antiaderenti, nei cosmetici e detersivi. Queste sostanze, una volta entrate nel corpo attraverso l’acqua e il cibo, si accumulano nell’organismo e si comportano come interferenti endocrini. 

L’esposizione a PFAS è correlata a:
-insorgenza di tumori ai reni e ai testicoli
-malattie tiroidee
-ipercolesterolemia
-ipertensione gravidica
-colite ulcerosa
-infertilità
-basso peso alla nascita 

I PFAS sono persistenti, c.d. forever chemicales, ovvero smaltiti nell’ambiente, lo inquinano per decenni. Tracce di PFAS sono state trovate anche nei ghiacci dell’ Antartide. 

In Italia sono stati scoperti nel 2013 dal CNR dopo l’analisi delle acque potabili di alcuni comuni veronesi, vicentini e padovani. L’inquinamento da PFAS coinvolge un territorio di circa 700 km compreso tra Verona, Vicenza e Padova, ed è stato causato dalla Miteni, azienda chimica di Trissino attiva dal 1965.  Analizzando le acque del torrente Poscola nel vicentino, in cui confluivano le acque di raffreddamento degli impianti della Miteni, si sono scoperte elevate concentrazioni di PFAS, che da lì avrebbero inquinato tutte la falda acquifera delle tre province. Secondo la Procura di Vicenza, l’azienda Miteni era al corrente della pericolosità dei PFAS già nel 2004 anche se le attività contaminanti cominciarono almeno al 1977.

La Miteni, fallita nel 2018, è sotto inchiesta per disastro ambientale (13 indagati tra manager e tecnici). Il 12 ottobre prossimo, al tribunale di Vicenza, si terrà l’udienza preliminare del processo penale per disastro ambientale e avvelenamento delle acque destinate al consumo.

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