Sono passati quattro anni dal fallito golpe in Turchia, l’insurrezione contro il presidente, Recep Tayyip Erdogan. E sono quattro anni che la caccia ai sostenitori del predicatore Gulen, considerato dalle autorità turche il vero ispiratore delle sommosse, continua. Decine di migliaia di persone sono state arrestate, molte di più licenziate e messe fuori dal mercato del lavoro.
Una vera e propria epurazione, basata su fatti sui quali gli analisti internazionali mantengono ancora dubbi a distanza di tempo. I processi relativi a quel golpe sono stati 289 e i turchi condannati all’ergastolo più di 2500. Professori, impiegati, piloti e appartenenti alle forze dell’ordine, è stato tutto un repulisti e molto duro nella sostanza. Le accuse nei tribunali sono state quelle di “tentato rovesciamento dell’ordine costituzionale” o ”tentato assassinio del presidente” e “omicidio intenzionale”.
Ankara non ha dubbi su chi ha voluto il golpe: l’organizzazione Feto, il cui capo è appunto Gulen, che risiede negli Stati Uniti da vent’anni e che gli americani non vogliono estradare in Turchia, una volta amico e poi nel corso del tempo nemico di Erdogan.
In 475 sono stati processati per aver organizzato il tutto dalla base di Akinci, fuori Ankara (dove fu tenuto in ostaggio l’allora capo dell’esercito, oggi ministro della Difesa, Hulusi Akar), centro delle azioni golpiste che colpirono Parlamento, Palazzo presidenziale e altri luoghi simbolo della capitale turca. In 14 sono stati condannati a 79 ergastoli a testa. Tra i condannati illustri all’ergastolo (quello più duro è l’aggravato, non esiste più la pena di morte) l’uomo d’affari Kemal Batmaz.