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Gubinelli, la piega della luce

Pubblicato il 8 Dicembre, 2020

La passione per la carta, innanzitutto, specchio di luce, rifrazione di altro, ma anche materia da incidere e piegare. La carta spazio muto in cui pensiero e mani creano un tessuto poetico e un riverbero musicale. Paolo Gubinelli, oggi fiorentino, è nato a Matelica e rappresenta in pieno da un lato la duttilità propria del creatore (è stato anche grafico pubblicitario, designer, progettista in architettura) e dall’altro la fedeltà, diremmo morandiana, a un’ideale artistico ben definito, un razionalismo alla Fontana per capirci.

Ha annotato il critico Giulio Argan di lui: “Nel suo lavoro sono rare le tracce della tradizionale iconografia del razionale. Mi par dunque la sua razionalità non sia deduttiva, logica, ma induttiva. Trovare una dimensione del razionale oltre la logica è proprio quello che ho sempre cercato nelle opere d’arte… Mi pare che la sua ricerca sia proprio di dematerializzare o defenomenizzare la carta togliendole il suo limite di superficie e costruendo, con sottile incisione, una spazialità senza volume e una luce senza raggio. Lei insomma riduce a immateriale rigore e cioè a qualità razionale i dati materici e visivi”.

E la poetessa Maria Luisa Spaziani: “Gli acquarelli chiari o lunari hanno la carnalità madreperlacea di una pelle, sono un sottile alabastro posto contro un tessuto di braci o una tempesta di neve, hanno una straordinaria levità, una grazia tanto evidente quanto difficile da irretire in parole. La parola è lo strumento del poeta, forse la sua materia prima. Ma qui l’artista traccia segni mentali in un’atmosfera di favola. Si tratta di un’astrazione lirica musicale poetica dove lo ‘spazio-luce’ è protagonista”.

E’ la stessa dichiarazione dell’autore: “Non sono un poeta, amo incidere la mia parola”. L’incisione è forse per Gubinelli l’urlo al mondo e l’infrazione delle regole, ma anche, crediamo, forma estrema e definita, mai definitiva. Spazio, luce e colore: in ciò sta tutta l’opera e il dire di Gubinelli. Uno spazio razionale, ma che è, allo stesso tempo, eco esso stesso di luminosità e promotore di altri spazi (diversi e puri). Che si tratti di dialogare con le poesie di Leopardi o col più antico manoscritto di Dante, conservato a Ravenna, com’è avvenuto per lo straordinario artista marchigiano, è sempre la luce, “la piega della luce”, che accompagna l’avvertimento delle opere.

E’ un esercizio quasi mistico. “È una situazione molto amata dagli orientali i quali preferiscono vedere il mondo illuminato da una sottile falce di luna piuttosto che da una volgare luna piena, cara agli innamorati e ai bambini. Gubinelli ci propone questi stimoli pre-percettivi, ancora prima delle forme, quasi frammenti di segni e apparizioni di colori” come scrisse, cogliendo il segno (lo stilema), Bruno Munari (nella foto, Paolo Gubinelli fotografato da Aurelio Amendola)

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