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Vaccino italiano a Dna, adatto alle varianti: iniziato lo studio clinico

Pubblicato il 1 Marzo, 2021

Vaccino italiano: si lavora su più fronti. I primi volontari sani hanno ricevuto la dose iniziale del vaccino a Dna contro Covid-19 (Covid-eVax) ideato da Takis e sviluppato in collaborazione con Rottapharm Biotech. La Fase 1 coinvolgerà 80 volontari sani divisi in 4 gruppi con dosi diverse somministrate con o senza richiamo, mentre in Fase 2 si raggiungeranno fino a 240 soggetti sulle dosi più promettenti.
Il vaccino a Dna rappresenta una innovazione rispetto alle altre piattaforme tecnologiche già disponibili, quali quelle a Rna messaggero o a vettore virale. “Il Dna consente di evitare la catena del freddo nella conservazione e nel trasporto”, ha dichiarato Luigi Aurisicchio, amministratore delegato e direttore scientifico di Takis. “Per le sue caratteristiche, la produzione dell’antigene è prolungata nel tempo e il vaccino potrebbe funzionare bene già al primo ciclo. Inoltre, se necessario la somministrazione può essere ripetuta più volte per una risposta immunitaria più solida, anche grazie all’impiego della tecnica dell’elettro-porazione sviluppata da un’altra azienda italiana, Igea di Carpi, che facilita l’ingresso del Dna nelle cellule muscolari e funge anche da adiuvante, stimolando quindi i processi immunologici”.

Come riporta Repubblica, “il vaccino viene somministrato con uno strumento che assomiglia a una pistola. Nell’inoculare un frammento di Dna si provoca una debolissima scossa elettrica, che dà la sensazione di una contrazione involontaria del muscolo. Nella frazione di secondo della scossa, la membrana delle cellule del muscolo si apre e la molecola di Dna vi entra”: ecco l’elettro-porazione. Si tratta, come detto, di un vaccino sviluppato quindi interamente in Italia e che si avvale anche di un consorzio prestigioso di centri clinici italiani per la Fase 1 e la Fase 2 della sperimentazione clinica. A partecipare allo studio sono infatti l’Istituto nazionale tumori Irccs fondazione Pascale di Napoli, l’Istituto nazionale Malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma e l’Ospedale San Gerardo di Monza, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. I tre centri clinici sono coinvolti in tutte le attività dello studio, ma ciascuno ha responsabilità maggiori su uno dei tre aspetti principali della sperimentazione.
Il San Gerardo a Monza è responsabile del trattamento dei primi soggetti di ciascuna dose e quindi della verifica dei risultati preliminari: la prima somministrazione è avvenuta oggi nel Centro di ricerca di Fase 1 diretto dalla professoressa Marina Cazzaniga, ricercatrice di Oncologia medica dell’Università di Milano-Bicocca. “Il vaccino promuove la produzione di una porzione molto specifica della proteina ‘spike’, quella che il virus utilizza per legarsi alle cellule umane”, sottolinea il professor Paolo Bonfanti, direttore della uo di Malattie infettive della Asst Monza e professore associato di Malattie infettive dell’Università di Milano-Bicocca “e contro la quale, quindi, l’organismo scatenerà la risposta immunitaria”

Il Pascale a Napoli ha un ruolo determinante nell’espansione del numero di soggetti per ciascuna dose, al fine di consolidare i risultati. “Tra l’altro” precisa il professor. Paolo Ascierto, direttore dell’unità di Melanoma, Immunoterapia oncologica e Terapie innovative dell’Istituto Pascale di Napoli, ”il vaccino a Dna può essere facilmente e velocemente modificato a tenere conto delle varianti del virus che stanno diventando prevalenti o che si dovessero manifestare in futuro”.
Infine, lo Spallanzani a Roma è responsabile di tutti gli esami di laboratorio che documentino la risposta immunitaria e quindi la potenziale efficacia. Il vaccino si è infatti comportato molto bene nelle prove di laboratorio, provocando una forte risposta immunitaria sia di tipo anticorpale sia cellulare, che ora andrà confermata nell’uomo.
“Con Covid-eVax stiamo dimostrando la capacità della ricerca italiana nella generazione di soluzioni innovative contro la pandemia e abbiamo chiesto la collaborazione di importanti centri italiani per lo sviluppo”, conclude Aurisicchio, “Abbiamo trovato in Rottapharm Biotech un partner per l’investimento iniziale e il supporto nello sviluppo clinico, ma ora è necessario l’intervento finanziario delle istituzioni italiane ed europee su una tecnologia che potrebbe rivelarsi utile non solo contro Covid-19, ma anche su una serie di altre indicazioni terapeutiche, a cominciare dai vaccini contro il cancro”.

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