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TALENT SCOUT DI AUTORI: FABIO IZZO

Fabio Izzo autore

Pubblicato il 17 Aprile, 2021

Di Gordiano Lupi

Questa settimana parliamo di Fabio Izzo, nato nel 1977, ad Acqui Terme, provincia di Alessandria, dice che è venuto al mondo quando ancora nevicava a Natale. Non è così vecchio, date retta a me che lo sono davvero. Ho conosciuto Fabio Izzo facendo editing al suo primo romanzo – ironico e dissacrante – intitolato Eco a perdere, che aveva una copertina a fumetti (disegnata dal bravo Oscar Celestini) con un lettore intento a disfarsi di un libro di Eco. Ricordo che quel libro lo facemmo avere anche all’autore de Il nome della rosa, che – da persona intelligente e colta – ci avrà fatto una risata sopra.
Il titolo è ancora nel catalogo del Foglio Letterario, stampato come una volta dalla tipografia di Sant’Antimo, su carta gialla e copertina di cartoncino, roba molto underground. Izzo ha pubblicato con noi anche Balla Juary – testimonia la sua grande passione per il calcio e un amore infinito per Avellino, luogo del tempo perduto -, Doppio umanoTo Jest (presentato al Premio Strega!), Ieri EilenIl nucleo. Autore originale e traduttore ispirato, ha vissuto in Finlandia e Polonia, portando in italiano diversi autori di quelle culture (tra questi Vladimir Levchev) e permeando le sue opere di influenze legate all’Est Europa. Ha vinto un Premio Grinzane Cavour Dialoghi con Pavese e un Internazionale Città di Cava de Tirreni. Candidato al Premio Strega – come abbiamo detto -, e a Scrivere per Amore, il famoso premio veronese per un romanzo d’amore. Da non trascurare il lavoro come sceneggiatore di graphic-novel: Uccidendo il secondo cane è uscito per Oblomov, mentre sta lavorando a La città senza nome. Tra le altre opere ricordiamo I cavalieri che non fecero l’impresa e Consigli dalla Punk Caverna (Terra d’Ulivi). In questo momento sta mettendo in cantiere un nuovo romanzo dal suggestivo e oscuro titolo Latte e Xanax.  Il mio giudizio su Fabio Izzo è di per sé parziale, lo vedo come un figlio letterario –  come Vincenzo Trama -, sono autori che hanno pubblicato quasi tutta la loro opera con la nostra rivista e con la piccola casa editrice. A mio parere, se il Premio Strega fosse roba seria (e se io fossi in giuria) Izzo entrerebbe nella cinquina, ma siamo nel mono delle fiabe. Per ora godetevi il suo stile secco e rapido, asciutto e poetico, senza tanti fronzoli letterari, ma al tempo stesso intenso e coinvolgente.  Oggi vi presento l’incipit del suo ultimo lavoro, ancora in fieri: Latte e Xanax. A me piace parecchio, al punto che vorrei pubblicarlo e farlo presentare al Premio Strega 2022. Fatemi sapere che cosa ne pensate, come sempre alla mail lupi@infol.it

Latte e Xanax

Ora si compra tutto su internet. Anche gli uomini e le donne.

Siamo tutti in vendita, si deve solamente trovare il prezzo giusto.

Desideriamo entrare nelle persone che ci piacciono anche solo fisicamente.

La geografia dei peccati è questa.

Se fossimo abbastanza saggi le cose sarebbero diverse.

Non sono mai stato saggio.

Dubito di poter cambiare ora.

La mia insoddisfazione rimarrà tale anche perché ormai è ben omologata con quella circostante.

Buchi lampi flash ricordi

Tutto in qualche modo era già passato

Dovevo risalire ad anni indietro

Molti anni indietro.

Pochi per la storia del mondo che di episodi come quelli ne era ormai pieno

Addentrarsi nelle vie della città era come incidere le arterie per poter far tornare il sangue a scorrere in questo organismo sociale assopito dalla neve

Nevica.

Scrivo sempre quando c’era la neve

Sarà perché, forse, quando sono nato, quella parte di mondo mi accolse innevato come non mai

Questo anno era iniziato con un andirivieni di sensazioni. Sapevo benissimo che sarebbe andato malissimo al di là di tutti i buoni propositi. 
Per questo motivo mi curavo con la mia storia, con il libro che avrei dovuto scrivere quello sugli incontri letterari, sui luoghi letterari. Non ci voleva una macchina del tempo per poter parlare con il fratello di Hemingway, per andare nella chiesa dove Dante incontrò Beatrice, ci voleva solo passione letteraria, sinonimo di follia.

Viaggiare nel tempo e nello spazio per incontrare I personaggi, a mio parere, più importanti.

Volevo sentire le loro storie, viverle.

Questo era ormai diventato la mia unica fonte di vita

Poi è come strapparsi la pelle di dosso, fermandosi al primo strato dell’epidermide. 
La memoria comincia a fare cilecca.

La depressione e le gocce antidepressive ogni giorno sedimentano uno strato aggiuntivo di nulla sulla mia anima formando stalattiti che in teoria dovrebbero difendermi.

Eppure, poco fa, intendo qualche giorno fa, mi ha scritto Anna.

Dice che ha smesso di prendere le pillole e alla mia domanda, (perché) ha risposto che voleva trovare la forza in sé stessa e non nella dipendenza. 
Uno dei grandi errori, o almeno, quello più comune che si commette è credere che la depressione sia sinonimo di tristezza. 
La tristezza ne è solo una minuscola parte, la depressione è oblio, desiderio di ripararsi in un mondo celato. Ci si annacqua, ci si nasconde appartati.

Il tempo segue percorsi suoi.

Solo negli orologi scorre lineare, per il resto, nelle vite degli esseri umani si impone come e quando vuole lui

Cerchiamo di riprodurre meccanicamente ogni cosa, perdendo originalità. In fondo Adamo era unico e originale, venne poi riprodotto continuamente.

Il peccato si fa carne. 
Molta più carne di quanto ne abbia effettivamente bisogno. 
Dovrei dimagrire e rimettermi in sesto.

Una volta internet era la chiave di volta della comunicazione delle mie relazioni. 
Lo usavo per parlare con le mie donne passate, presenti e future. Ora invece lo uso principalmente per comprare cose che non mi servono.

Mancano quattro giorni a Natale e vivo nella mia fortezza della solitudine.

Solo la visita di Andrea ha spezzato il ritmo della mia disperazione.

Penso che questa sia una parola più forte, più adatta anche perché meno logorata dall’uso insensato che si fa attualmente oggi per diversi termini. 
Quel rumore di fondo infernale che serve a deprivare di vero significato qualsiasi cosa.

Come se tutto fosse stato deviato. 

Ecco sì.

Per questo motivo ripenso a Samanta.

Se rimpiango qualcosa della mia vita di prima posso dire che rimpiango lei.

L’aver dormito con lei senza esserci entrato.

Carnalmente.

Fisicamente.

Dormimmo abbracciati. 
Fatti d’oppio. 
Dopo aver passato il pomeriggio sul taxi di uno spacciatore che, ovviamente, era il suo amante.

Sapevo tutto.

Non ci voleva molto a saperlo. 
Ci voleva invece un altro coraggio, che io non avevo, per ammetterlo. 
Coraggio che io non avevo e che lei non aveva interesse a mostrare. 
La sua era una truffa vecchia in cui non ero mai capitato, ma questo succedeva, appunto perché invecchiavo.

Stavo invecchiando.

Lei mi ritenne vecchio abbastanza da poter spennare.

Come un gallo che ha già dato tutto.

Sapere tutto per sapere nulla, conoscere il nulla per arrivare conoscere tutto.

Nessun mammifero o animale beve latte in età adulta, nessun mammifero o animale adulto assume psicofarmaci, io ormai avevo iniziato a prendere entrambi, lì dove mi si confondeva il confine tra psiche e anima.

Oggi il clima è mite ma non con me.

C’è il sole là fuori e mentre sono concentrato sul nulla mi arriva una foto da quel paese là. Così ricordo.

La finestra di quella stanza si apriva su un vecchio edificio. Rampe di scaloni che sembravano portare a uffici o a reparti che faccio fatica ora a distinguere. 
Poteva tranquillamente essere appartenuto a qualche amministrazione pubblica o sanitaria della PRL, in fondo, entrambe non sono altre che case di follie.

Pioveva spesso in quel periodo, ma in realtà piove sempre in quel paese lì.

L’aria stantia sapeva di muffa, un odore acre solleticava le mie narici.

Avevo una stanza, l’ultima in fondo a sinistra, il bagno invece era a sinistra, appena entravi,in fondo a destra, non c’era nulla. Giravo in senso antiorario per andare a farmi la doccia e lavorando di notte non incontravo nessuno della casa.

Solo un mio coinquilino che mi aveva preso in simpatia, un ragazzetto turco, voleva fumare dell’erba con me. Ogni tanto mi aspettava per pranzo o nelle mie notti di riposo, veniva a trovarmi. Non so che fine abbia fatto, così come non conosco affatto la mia fine. Se volgo lo sguardo al passato ora vedo qualcos’altro, qualcun altro, ero davvero io?

Ero arrivato preparato. Aveva perso una decina di chili correndo tutti i giorni.

Il mio obiettivo era cogliere al volo l’occasione.

Non ne aveva avute molte, anzi, di solito tutti gli eventi che mi si erano presentati lungo il cammino avevano l’effetto di un fuoco d’artificio, scoppiettanti all’inizio, rumorosi, ma veloci a sparire lasciando solo puzza di zolfo, cenere e lapilli.

Pioveva. Quando arrivai. E poco dopo nevicò.

Era ottobre. Ricordo che ne rimasi sorpreso.

Erano tutti di corsa.

Non come me che mi ero preparato andando a correre per mesi, vicino al fiume. Qui non si correva per stare bene, si correva per correre.

Era un nuovo tipo di corsa.

La smania, la chiamavo.

Solo i camerieri e le cameriere, al contrario, erano lenti, lentissimi. Sarà stato per via del salario da fame o perché imponendo il loro tempo speravano in mance più alte dai turisti in un gioco di dominazione psicologica, non so.

Ancora stanotte l’ho sognata.

Era lì che si preparava, tra il buio e lo scuro, a pettinarsi e truccarsi per prendere un’altra mano.

Non so che ruolo avessi io, da spettatore? 
Volevo ancora assistere a quello spettacolo nella mia fase Rem quando invece di giorno avevo ormai attuato ogni strategia che mi potesse allontanare da tutto ciò?

Eppure, in questo periodo della mia vita, ero chiamato, ancora una volta a rinascere.

Rinascere è una parola un po’troppo forte se così possiamo dire.

Dovevo semplicemente scavare tra le mie macerie e sperare di tirare avanti ancora un po’, in qualche modo.

Ero bravo a farmi sfuggire le cose e a complicarle.

Almeno, questo era quello che pensavo di me mentre il resto del mondo non mi dedicava molto del suo tempo.

Eppure, in questa particolare settimana si erano presentati degli spettri minori del passato che avevano poi evocato il grande fantasma della mia vita.

Era come se sapessero.
Loro, non io.

Erano stati lì, appollaiati da qualche parte, per sbucare poi nel momento a loro più propizio.

Erano come mosche e avvoltoi pronte a martoriare e tormentare quel poco che restava di me.

Stanotte l’ho sognata, dicevo.

Più che lei, nel suo insieme, ho sognato i suoi dettagli.

I capelli arruffati, increspati, tinti di nero, per nascondere il grigio del tempo che si separa dalla speranza.
Capelli che venivano spazzolati nell’oscurità e poi lì, la sua mano, vicino all’uscio, pronta ad afferrare un’altra mano. 
Non la mia.

Guardavo.

Ho passato anni della mia vita a scandagliare la mia e le sue possibili versioni.

Non ho mai capito o, forse, l’ho sempre fatto.

Il confine tra sogno e incubo, in fondo si tratta di questo.

Mi alzo dal letto e già so che la giornata è stata segnata.

Una enorme x su questo calendario liquido che è la mia esistenza, sparsa tra un giorno e l’altro, senza congruenza.

Reagire.

Dimenticare.

Consegnare questa storia che forse ormai è finita.

Era lì, sulla porta, non per me, a coprire la verità dell’età con la finzione della giovinezza. Come un ultimo saluto.

Forse è questo il suo significato, penso mentre bevo una tazza di latte caldo, come mi consigliava sempre mia nonna.

Ho molti ricordi di mia nonna ma uno di quelli che mi ha più segnato è quello di Braciola.

Mia nonna è rimasta vedova intorno ai.. ai troppi anni. Non credo ci sia un’età giusta per perdere il proprio partner.

Comunque lei aveva quell’età, figlia di una mentalità, che non ti permette di trovare un altro compagno e che ti lascia lì, appesa ai rimpianti.

Rimpiangeva mio nonno, o almeno, quello che pubblicamente poteva raccontare, elogiandone le virtù, trasformandolo in un santo di famiglia.

Aveva fatto sempre e solo del bene, a suo dire.

Mio nonno però aveva commesso un unico grande peccato, quello che nessuno ti perdona, il morire.

L’aveva lasciata sola.

Così quando le saliva l’amarezza, il dolore della perdita, lo sconforto di una vita da trascinare avanti, in qualche modo … in solitudine, ecco che tirava fuori questo Braciola.

Braciola era il soprannome di un facoltoso macellaio di Monteforte, il suo paese di origine, che si staglia lì, sulle montagne irpine sotto le luci dei fari della base Nato che ero solito guardare da lontano, da bambino, chiedendomi perché gli americani avessero deciso di rintanarsi lassù, nascondendosi.

Comunque, in quel paese, dove i miei bisnonni vendevano la pasta fatta in casa, di cui conservo qualche foto, mia nonna aveva rifiutato la proposta di tal Braciola per sposare mio nonno.

Braciola quindi nel mio immaginario era diventato tutto quel che avrebbe potuto essere ma che mai in realtà è stato e potrà essere.

Penso che se mia nonna avesse sposato Braciola, senza scomodare Ritorno al Futuro, non sarei mai nato.

Ma solo ora mi accorgo che in quel sogno, il Braciola ero io.

Che questo forse, finalmente, è un addio.

Un addio che devo raccontare, per non costringere la mia anima o la mia psiche ad affogare nel latte e nello Xanax.

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