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Donne e lavoro: da inizio pandemia 150 donne in provincia di Ragusa hanno dovuto abbandonare il lavoro

Pubblicato il 5 Maggio, 2021

Numeri che non avremmo mai voluto leggere e che dovrebbero far riflettere e correre ai ripari: sono un paio di migliaia nella nostra isola, poco più di 150 solo nella provincia di Ragusa, le lavoratrici madri costrette alle dimissioni a causa della pandemia. Mentre lo smart working si è trasformato per le donne in un sovraccarico senza soluzione di continuità.

“E tutto ciò nella regione in cui gli asili nido accolgono meno del dieci per cento dei bimbi da zero a tre anni”. A lanciare il grido d’allarme è la segretaria generale dell’Ust Cisl Ragusa Siracusa, Vera Carasi, a proposito della necessità di creare un’agenda di genere e di adottare misure che concilino vita e lavoro oltre che un piano straordinario per l’occupazione giovanile e femminile.

“Prendiamo spunto – spiega Carasi – dalla diffusione dei dati che la nostra organizzazione sindacale ha fatto in occasione del Primo maggio, in concomitanza con la partecipazione a un incontro su MedicalExcellenceTv, per evidenziare, nostro malgrado, che tutte le preoccupazioni evidenziate in questi ultimi mesi si sono fortemente radicate. Il Covid si è abbattuto, come una tegola, soprattutto sulla testa delle donne. Sono state loro, in tempi di pandemia, a pagare il prezzo più alto. Anche in provincia di Ragusa. Lo avevamo già detto e, adesso, ce lo confermano i dati”.

“Quasi una donna su quattro oggi – continua la segretaria dell’Ust Cisl Rg Sr – non lavora, con un gap di quattro-cinque punti peggiore del tasso dei senza lavoro maschi. Inoltre, le lavoratrici madri che in questi mesi sono state costrette a lasciare il lavoro lo hanno fatto per l’impossibilità di conciliarlo con le attività di cura in famiglia. Oltretutto perché anche lo smart working, di cui si è fatto largo uso dalla primavera 2020 in poi, si è tradotto per le donne in un enorme sovraccarico senza soluzione di continuità. E in molte sono state costrette a gettare la spugna”.

La Cisl punta l’attenzione sull’inadeguatezza del sistema regionale del welfare e dei servizi socioassistenziali. “Che invece – sottolinea Carasi – dovrebbero favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e nei circuiti dell’economia. Se a tutto ciò si aggiunge il fatto che gli asili nido accolgono attualmente meno del dieci per cento dei bimbi da zero a tre anni, si ha chiara la sensazione di come pesante sia l’ipoteca che pende sulle giovani coppie. E sulle donne specialmente. Dobbiamo, per questo, puntare alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. La nostra organizzazione sindacale, inoltre, ha chiesto alla Regione l’incremento del tempo pieno nelle scuole primarie e in quelle secondarie di primo grado; il potenziamento dei consultori e dei servizi di medicina territoriale. E ai sensi della Convenzione di Istanbul, il rafforzamento delle politiche di prevenzione e contrasto alla violenza sulle donne in quanto grave violazione di fondamentali diritti umani”.

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