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TALENT DI AUTORI – ANNICK EMDIN

Pubblicato il 3 Luglio, 2021

Di Gordiano Lupi

Annick Emdin è nata a Pisa nel 1991, laureata in Discipline dello Spettacolo, ha conseguito il Master in Sceneggiatura e Drammaturgia presso l’Accademia Silvio D’Amico. È scrittrice (Lividi, edizioni Anordest, Io sono del mio amato, edizioni Astoria), drammaturga e regista teatrale (Matrioska, Bambole Usate, Medea, La sposa guerra, La morte non esiste), sceneggiatrice (L’ombra del giorno, di G. Piccioni, in produzione). Ho avuto modo di conoscerla quando facevamo una collana sperimentale di piccoli libri, una serie di racconti lunghi dal taglio giovanile e innovativo che sono stati importanti per autori del valore di Federico Guerri e Sacha Naspini. Io sono del mio amato – edito da Astoria, gruppo Guanda – è il suo ultimo testo che mi è capitato di recensire, dopo aver consigliato la sua pubblicazione a chi gestiva la (purtroppo) defunta Anordest Edizioni. Ricordo Annick (ancora molto giovane) ottima narratrice sulla misura breve con la mia casa editrice (Il Foglio Letterario), quindi romanziera per Anordest Edizioni, in una collana di giovani promesse che ero stato chiamato a dirigere (Lividi era quel romanzo, che trovate ancora, magari dai reimanders). Mi fa piacere di ritrovarla alle prese con una storia di padri e figli che indaga il rapporto con i genitori, l’importanza e la difficoltà dei legami familiari, come sia difficile convivere e sopportare su gracili spalle tutto il peso del passato. Io sono del mio amato è una storia che riguarda molto da vicino l’autrice, viste le sue origini, ma che analizza senza remore l’ortodossia religiosa, confrontando il mondo ebraico contemporaneo con la nuova Israele tecnologica che non dimentica le sue radici. Il romanzo – ambientato nella Gerusalemme del 1995 – narra con intensità drammatica e un pizzico d’ironia la storia d’amore tra un giovane ebreo allevato secondo le regole della tradizione e una soldatessa che lo salva da un attentato. Un amore tra due persone diametralmente opposte: Levi è un tradizionalista molto religioso, Yael è moderna e trasgressiva, sia per il mestiere che ha scelto in difesa della patria, ma anche perché fuma, non sa cucinare, veste abiti insoliti. La famiglia rifiuta Levi per un amore non consentito dalle regole imposte da nonno Chaim, la persona che più di ogni altra ha influenzato la vita del ragazzo. La trama principale segue l’amore tra Levi e Yael, mentre la sottotrama racconta il passato del nonno, la storia del suo matrimonio, le vicende che lo videro sposarsi nel 1941 in una cittadina ucraina. L’autrice sembra voler dire che il passato torna sempre nella vita delle persone, ma è importante saper derogare alle regole della tradizione e ai precetti irremovibili della religione che rischiano di ingabbiare la vita e di non far seguire le ragioni del cuore. Annick Emdin è dotata di una stile fluido ed essenziale, dipana la narrazione per dialoghi senza concedere niente a orpelli barocchi, fa uscire i caratteri dei protagonisti dalle vicende narrate. E il racconto è già una perfetta sceneggiatura che nelle mani di un valido regista interessato alla questione ebraica diventerebbe ottimo cinema d’autore. Debutto incoraggiante per una giovane autrice (1991) che non mancherà di andare avanti e di stupire, percorrendo strade ancor più interessanti. In questa rubrica, invece, per dimostrare la sua grande versatilità, ve la presento come poetessa. Niente male, direi. Voi che cosa ne pensate?

Girotondo

Dindin don, fa il carillon,

dindin don sui resti del mondo

balla con me questo perverso

girotondo.

Fissando negli occhi

i vincitori disumani

del gioco al massacro,

ci guardiamo allo specchio.

Perdiamo sangue da un orecchio,

un orifizio rosso e preoccupante,

con qualcosa di sessuale.

Ci amiamo e ci colpiamo

vittime di un girotondo ancestrale

sulla schiena del serpente eterno

che si snoda dall’implosione del futuro

al nodo primordiale,

mentre l’universo si espande e si contrae in se stesso.

Sesso: il fine ultimo, una lotta e una danza,

volteggiamo tra forma e sostanza,

tra materia ed energia,

guardala negli occhi quest’anima mia

delicata, dolce, in posa

sulle frattaglie del macello

come una ballerina su un carillon.

Guardala negli occhi e menti:

vuoi amarla o colpirla?

Il carillon gira e gira.

Tu mi guardi io ricambio lo sguardo 

e tutti quanti vediamo solo un riflesso

una rifrazione

ombre su una parete.

Non soffriamo la fame, né la sete,

ci cibiamo dei resti sui quali giriamo.

Dindin don, fa il carillon,

dindin don sui resti del mondo

balla con me questo perverso

girotondo.

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