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Quattromila infermieri in meno in Veneto

Pubblicato il 5 Luglio, 2021

Marina Bottacin, Presidente OPI Venezia: «Servono più posti nelle università» L’85% di chi si laurea trova subito lavoro ma il rapporto tra infermieri e abitanti è ancora troppo basso

5.7.2021 – «Le stime arrivano a segnare meno 4000 unità per la nostra Regione. La carenza di infermieri si fa sentire ovunque, anche in Veneto. E a farne le spese sono soprattutto le RSA che sono proprio i luoghi dove si trovano le persone più fragili, quelli che più hanno sofferto durante la pandemia».

«Da qualche tempo stiamo assistendo ad una vera e propria fuga degli infermieri da queste strutture – dice Marina Bottacin, Presidente Ordine degli infermieri di Venezia- un fenomeno preoccupante che deve far riflettere seriamente le istituzioni coinvolte su una necessaria riorganizzazione dell’intero settore con più attenzione alle esigenze professionali, umane ed economiche degli infermieri e degli altri operatori. E’ necessario che venga rivista l’organizzazione dei modelli assistenziali in queste strutture con un maggior riconoscimento delle competenze degli infermieri affidando loro la gestione dell’intero processo assistenziale ed il coordinamento delle varie figure, altrimenti il fenomeno migratorio verso le strutture pubbliche continuerà, purtroppo».

Quella degli infermieri è una carenza documentata e discussa tempo, un problema che arriva da lontano. Rispetto alla media europea in Italia mancano all’appello più di 63mila infermieri. Mentre i Paesi UE viaggiano a circa mille infermieri ogni 100mila abitanti, infatti, in Italia non si arriva a 600.

«La letteratura ormai da tempo mette in evidenza come uno squilibrio nel rapporto infermieri-abitanti può portare a gravi danni per la salute dei cittadini – continua Bottacin – le aziende stanno facendo bandi di assunzioni ma visti i tassi di occupazione attuali è chiaro che questo non risolverà il problema della carenza, le graduatorie si esauriscono velocemente, bisogna invece aumentare i posti nei Corsi di laurea infermieristica nelle Università e nel frattempo riorganizzare i sistemi sanitari».

Già prima del Covid  gli Ordini Infermieri Veneti hanno mandato una nota alla Regione dove si sosteneva che il fabbisogno formativo di infermieri era almeno di 2500 nuove unità, per far si che il rapporto si avvicinasse agli standard europei (in Italia 5,5 ogni 1000 abitanti VS la media europea di 8,5). «Alla fine sono arrivate 1100 unità, circa la metà – dice Bottacin – quest’anno la Regione Veneto ha chiesto agli Atenei Veneti di incrementare la loro capienza formativa nel Corso di laurea in Infermieristica proponendo 3mila posti, l’Ateneo Patavino ha già programmato un aumento della capacità formativa di 160 posti, un impulso importante ma non basteranno, i numeri sono molto al di sotto delle richieste».

Sul fronte occupazionale tuttavia da sempre la laurea in infermieristica tuttavia è una di quelle che permette maggiori risultati. La FNOPI, la Federazione nazionale degli infermieri, mostra che ad un anno dal conseguimento del titolo il tasso di occupazione risulta dell’ 80,4% e che su 450mila iscritti agli albi infermieristici provinciali, circa 385mila sono occupati: una percentuale intorno all’85 per cento. 

Rispetto all’aspetto economico tuttavia c’è da dire che gli infermieri italiani risultano i meno pagati d’Europa, le retribuzioni risultano infatti uno dei problemi maggiori da affrontare rispetto alla crescita e alle aumentate responsabilità e specializzazioni della professione infermieristica in Italia. «La richiesta di valorizzare la professione infermieristica in termini economici resta fondamentale anche nell’ottica di una maggiore appeal per i corsi di laurea – dice Bottacin – agevolando percorsi di carriera professionale in ambito manageriale e clinico su ipotesi ancora rimaste al palo come ad esempio l’infermiere di famiglia e comunità».

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