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Pubblicato il 2 Ottobre, 2021

Di certo è di pessimo gusto. E forse è qualcosa di più. Anche se intanto bisognerebbe interrogarsi e rispondere una volta su tutte sul limite che debba avere il pessimo gusto, fino a dove ci si possa spingere, se proprio tutto può essere soggetto a menefreghismo, assenza di empatia, di rispetto.

Ma andiamo per gradi.

Si chiama Mafia City. E non è una novità. Si tratta del gioco in vendita dal 2016 nei negozi virtuali delle applicazioni per le piattaforme Android. E’ stato creato dagli sviluppatori della cinese Yotta Games.


In questi giorni nei vari canali social ci si può imbattere facilmente nella pubblicità a tappeto della nuovissima edizione, quella che si definisce “Il miglior gioco di mafia” del 2021 e che chi invita a diventare “il Padrino”: già 50 milioni di installazioni ovunque. Cioè, milioni di clienti hanno scaricato l’applicazione che permette di giocare sul proprio dispositivo al mafioso, orgoglioso di esserlo, pronto a tutto per fare parte di un clan e raggiungerne il vertice.

Si ambisce a essere il vertice della “montagna di merda”, così come Peppino Impastato ha sintetizzato la mafia e la sua subcultura.

Va bene, si dirà, è un gioco. Uno dei tanti che può suscitare polemiche perché trae ispirazione dagli aspetti peggiori della società, esaltandone i lati più oscuri, esasperando aspetti turpi, violenti, osceni, nauseanti. Uno dei tanti che vengono diffusi, comunque, liberamente, con buona pace di garanti vari.

Quindi, va bene così? Ognuno è libero se cimentarsi a essere un criminale della peggiore specie o infischiarsene dell’invito a entrare nella “città della mafia”?

E’ uno specchio dei tempi Mafia City. Soprattutto in Italia. Tempi di paradossi, di contraddizioni, al di là di quelli esaltati dalla gestione della pandemia. Senza andare troppo lontano, prendiamo in considerazione quel che accade in Sicilia, a Catania, dove i rappresentanti sindacali della Polizia di Stato invocano una presa di coscienza della politica per bloccare la deriva sempre più allarmante.

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A Catania, dove il sindaco Salvo Pogliese a sua volta invoca l’intervento del Prefetto, quindi dello Stato.

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Insomma, tutti d’accordo nell’ammettere che la situazione è seria, serissima; che bisogna fare qualcosa per prendere per i capelli quei giovani privi di direzione o che hanno preso la direzione sbagliata.

Riaffiora l’urgenza di sicurezza intesa anche come prevenzione, perché se colpisci e non semini il ciclo si ripete all’infinito.

Messaggi, esempio, scuola: urgenze mentre milioni di persone scaricano un gioco che esalta quel che poi accade davvero, adesso e non in un remoto storico; adesso e senza potere scegliere se indossare i panni del buono o del cattivo: in Mafia City per vincere devi essere il cattivo dei cattivi, punto.

E torniamo al buon senso. Abbiamo ricordato Peppino Impastato. Una vittima della mafia. Una delle vite spazzate via come se non avessero alcun valore. Ogni vittima condanna al dolore perpetuo chi l’ha avuta strappata con ferocia inimmaginabile se non vissuta sulla propria carne.

Mettiamoci nei panni per un attimo in chi ancora è qui, aggrappato e devastato dai ricordi, dal “come vorrei fossi qui accanto a me” e che magari non ha avuto il conforto della giustizia. Sei col tuo smartphone e scopri che c’è chi ti invita a reclutare assassini, a essere un assassino, a rubare, umiliare, uccidere, e potremmo dilungarci all’infinito su quel che è un criminale, un mafioso.

C’è chi ti invita a scaricare un gioco nel quale devi dilettarti a fare quel che è stato fatto a tuo padre, a tua madre, a tuo fratello, a tua sorella, a tuo figlio, a tuo nipote.

Al sangue del tuo sangue, col quale è ammesso giocare.

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