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L’alpinista Alex Txikon torna sulla morte di Daniele Nardi: “Non era concentrato, pensava solo ai social”

Pubblicato il 18 Ottobre, 2021

Parole dure. Un’analisi spietata sulla spedizione, l’ultima, che è costata la vita a Daniele Nardi, l’alpinista di Sezze scomparso sul Narga Parbat nel febbraio del 2019.

Sono quelle pronunciate dal collega spagnolo Alex Txikon dal palco del Festival dello Sport di Trento. L’alpinista, in Italia per presentare “La montagna nuda”, il volume che racconta la storia della prima salita invernale al Nanga Parbat, si è soffermato, nel suo intervento al Festival dello Sport di Trento, su Daniele Nardi e sul loro rapporto a campo base, ha detto: “Le tragedie in montagna accadono perché a volte si fanno le cose non per sé stessi, ma per gli altri. Credo che se Daniele si fosse concentrato, si fosse focalizzato, sarebbe ancora vivo. A 39 anni non essere in grado di aiutare un amico, di non convincerlo a rinunciare, è molto doloroso”.

Un’accusa diretta quella a Nardi, come riportato dal sito internet Montagna.tv: “Non avete idea di quante volte abbiamo cercato di motivare Daniele Nardi, di fargli comprendere che l’importante sarebbe stato arrivare lassù, non pensare come prima cosa ai social, alla comunicazione di quel che stavamo facendo”.

Alex Txikon aveva lasciato la sua spedizione al K2 per offrire le sue competenze e conoscenze nelle ricerche di Daniele e Tom Ballard quando, sul finire di febbraio 2019, sono stati dati per dispersi. Per una settimana lui e la sua squadra sono rimasti ai piedi della parete Diamir del Nanga Parbat, l’hanno perlustrata centimetro dopo centimetro. Lui e Ali Sadpara. In qualche modo si è ricostituita la spedizione originale del 2016, di nuovo insieme sul Nanga Parbat. Con gli occhi puntati su quello sperone, quello che a tutti incute timore, cercando una traccia. Poi il ritrovamento.

Sempre a Trento l’alpinista ha spiegato invece che con l’esperienza che ho, posso dire che è stata una morte crudele. Credo che Daniele avrebbe dovuto essere sulla vetta con noi, ma nel 2016 non aveva dato importanza alle cose fondamentali. Era forte, ma la sua mente allora era su altro. Vederli lì con il telescopio è stato crudele. Mi sono arrabbiato quando recentemente sono tornato al campo base del Nanga Parbat e non ho trovato la targa che avevamo fatto per ricordarli”.

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