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Snapchat decide di non promuovere più il profilo di Donald Trump tenendolo fuori dalla bacheca “Discover” che ospita i post delle celebrità e figure di rilevanza politica.

Snapchat esclude Trump dalla sezione “Discover”

Pubblicato il 6 Giugno, 2020

Un periodo un po’ complicato è questo per Donald J. Trump, almeno per quanto riguarda la comunicazione via social network. È notizia di ieri che la piattaforma social Snapchat ha deciso di negare al suo profilo l’accesso alla ghiotta bacheca “Discover”, una sezione che garantisce ampia promozione ai contenuti.

SNAPCHAT

Snapchat è un social network basato sull’istantaneità video arricchita da filtri che piace molto ai più giovani. Gli addetti del marketing lo considerano uno dei migliori contesti dove incrociare i millennials e la Generazione Z. Come tutte le piattaforme social anche Snapchat è un’azienda che vuole registrare utili, nonostante ciò pare abbia deciso di confrontarsi con la questione etica tanto da decidere delle limitazioni agli utenti che, a suo dire, sono di sprone alla violenza. Da qui la comunicazione di ieri (riportata da CNN, Time e Financial Times) in cui la portavoce della società Rachel Racusen dichiara: “Attualmente non stiamo promuovendo i contenuti del Presidente sulla piattaforma Discover di Snapchat. Non amplificheremo le voci che incitano alla violenza e all’ingiustizia razziale offrendo loro la promozione gratuita su Discover.”
La decisione pare sia stata presa durante il fine settimana in seguito ad alcuni post in cui Trump minacciava i manifestanti dicendo loro che se avessero provato a fare breccia nella recinzione della Casa bianca “sarebbero stati accolti dai cani più feroci e le armi più minacciose.”

Ma la decisione di Snapchat non spunta da sola in un panorama desertico, anzi viene anticipata da segnali provenienti da altri social network che, ognuno a suo modo, si è trovato davanti alla domanda: è etico lasciare che chiunque pubblichi qualsiasi cosa, anche potenzialmente pericolosa? E in questo contesto di dubbi, già presenti da anni, si è inserito il coronavirus con l’infodemia scatenata con il suo arrivo.
A un certo punto anche ai proprietari e ai quadri dirigenziali dei social è stato chiaro che in un momento drammatico quale un’epidemia non c’era certo bisogno di aggravare la situazione lasciando circolare liberamente informazioni e notizie false o pericolosamente decontestualizzare. Così i social network hanno iniziato a dare la loro disponibilità alla comunità scientifica per lavorare assieme all’individuazione e al contrassegno delle fake news.

YOUTUBE

Su questo fronte, per esempio, YouTube si è mosso accompagnando i video dal contenuto potenzialmente fuorviante con il bottone “Ulteriori Info” che, in Italia, porta direttamente a siti istituzionali come quello dell’Istituto Superiore di Sanità. In altri casi invece abbiano assistito alla completa rimozione dei contenuti che violavano “le norme della community”.

INSTAGRAM

 Il 24 marzo invece  l’agenzia Reueters batteva la notizia che Instagram, il social più frequentato conteso dagli influencer,  avrebbe rimosso i contenuti relativi al coronavirus dall’area “raccomandazioni” e da quella detta Explore“, di fatto mettendosi nella scia di Twitter che era già partito con iniziative affini la settimana precedente.

WHATSAPP / FACEBOOK

All’inizio di aprile invece era toccato a WhatsApp ritoccare le sue regole impedendo agli utenti di inoltrare i messaggi ad alto tasso di condivisione (contenuti virali) a più di una persona per volta, cosa che ha portato a un calo del 70% di questo tipo di condivisioni (fonte Techcrunch 27 aprile). Ma Facebook, che possiede Whatsapp, non si è fermata a questo ma ha proseguito congegnando un “alert” che avvisasse gli utenti esposti a contenuti ingannevoli (meccanismo che ha funzionato meglio con i post in lingua inglese piuttosto che con le altre lingue). Nell’ambito di questo progetto di buona informazione, il 17 aprile l’OMS dava annuncio della collaborazione fra loro e i social network al fine di contrastare le fake news. I contenuti dubbi sarebbero stati quindi reindirizzati al sito della loro organizzazione.

TWITTER

Ma quello che era partito come un tentativo di proteggere la salute dei cittadini del mondo è divenuto velocemente un campo minato quando, come riportato da CNN l’11 maggio, Twitter si è dichiarata pronta a porre un’etichetta ai contenuti ingannevoli, anticipando che lo avrebbe fatto anche se fossero stati pubblicati da Donald Trump. Si arriva così al 26 maggio con un paio di tweet presidenziali trattanti la controversa questione del voto per posta e la piattaforma social decide di accompagnarli con il tag “Ottieni i fatti sul voto per corrispondenza”, che porta a una pagina con esposte le altre opinioni e informazioni sul tema.
L’intervento di Twitter ha però innescato un effetto domino. Mark Zuckerberg di Facebook ha subito reagito affermando che le società private non devono essere “l’arbitro della verità” mentre Trump, in virtù e a sostegno del diritto di “free speech” (libertà di parola, garantita dal Primo Emendamento), il 28 maggio ha emanato un Ordine Esecutivo indirizzato ai social network che si sovrappone, nelle intenzioni, alla sezione 230 della legge 47 del codice americano, ovvero lo scudo che protegge le piattaforme dalla responsabilità riparandole dalle denunce.

Nel mondo dei social c’è molto dibattito sull’opportunità di intervenire o meno anche su contenuti di natura politica o postati da politici e anche dentro Facebook, un social network di grande peso, ci sono diverse posizioni. Come pubblicato da The Verge il 29 maggio, all’interno del team alcuni propenderebbero per la rotta presa da Twitter, arrivando anche a dichiararlo pubblicamente e non solo durante le riunioni interne.

TIK TOK

Ma in questo mare agitato c’è chi invece intravvede opportunità e si gode il momento. È il caso di Tik Tok, un social network di creazione cinese (ByteDance Ldt) che proprio in questo periodo sta crescendo vigorosamente, sostenuto soprattutto dall’entusiasmo dei giovani. Secondo un articolo pubblicato da Reuters il 2 giugno, ora Tik Tok starebbe giocando un ruolo per certi versi simile a quello che i social più tradizionali hanno giocato durante la Primavera Araba. Nel mondo giovanile infatti c’è  chi lo sta interpretando come un megafono per sensibilizzare verso la causa di Black Lifves Matter”. Gli stessi ragazzi e ragazze che fino a qualche giorno fa si erano presi dallo sfornare coreografie ora si stanno scoprendo attivisti

04 GIUGNO 2020


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