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Carnevale a Napoli: da Pulcinella a Tartaglia passando per Pasqualotto, tutte le maschere iconiche della tradizione partenopea

Un excursus tra le maschere di Napoli, dove la città si trasforma in un teatro all’aperto.

Pubblicato il 28 Febbraio, 2022

Fin dai tempi antichi il Carnevale è considerato una festa fatta di giochi, colori, eccessi, scherzi e addirittura di insulti e violenze. Si tratta di una festa che affonda le sue origini in epoche remote: la ricorrenza infatti trae le proprie origini dai Saturnali della Roma antica o dalle feste dionisiache del periodo classico greco.

La storia del Carnevale a Napoli

Il Carnevale divenne una festa molto sentita a Napoli a partire dal regno di Carlo di Borbone che era solito allestire grandi celebrazioni in tutta la città: sfilate, maschere, carri e cuccagne delineavano i festeggiamenti. Così il popolo ne approfittava per portare in strada, insieme all’allegria, anche comportamenti ai limiti della legalità, dato che era l’unico giorno dell’anno in cui tutto era permesso. Complici anche i travestimenti che rendevano irriconoscibili le persone.

Le maschere del Carnevale napoletano rappresentavano proprio quell’animo ribelle e scalmanato tipicamente partenopeo e davano la possibilità alle persone, che si rendevano irriconoscibili grazie ai travestimenti, di liberarsi dagli obblighi dalla moralità, di cancellare le differenze sociali e di concedersi ogni tipo di libertà.

Le origini delle maschere napoletane

Le maschere nascono nella Commedia dell’Arte dove venivano usate dagli attori per esercitarsi nell’improvvisazione. I personaggi che prendevano vita da questi travestimenti erano caratterizzati da un’ostentazione eccessiva nelle movenze e avevano un carattere puramente caricaturale.

Pulcinella, la maschera partenopea per eccellenza

Quando pensiamo alla maschera napoletana per eccellenza, la prima che ci viene in mente è sicuramente Pulcinella. Con il suo camicione, i pantaloni larghi e l’iconica mezza maschera nera dal naso curvo, incarna l’essenza della città e dello spirito popolare: i suoi malesseri, la sua euforia, l’ingordigia, la miseria, l’ingenuità.

Considerato uno scanzafatiche e mangiamaccheroni, Pulcinella rappresenta Napoli nella sua natura controversa e carica delle più diverse sfaccettature. Teatrale, disincantato, vitale e generoso, Pulcinella cela un lato oscuro, furbo, malinconico e opportunista.

Mentre per alcuni, la nascita di Pulcinella è legata al teatro antico, altri pensano provenga dalle interpretazioni degli attori Silvio Fiorillo e Antonio Petito, ispirati alle vicende quotidiane del contadino-attore Puccio d’Aniello, da cui Pulecenella, Pulcinella appunto.

La storia della sua figura, tra mito e realtà, oscilla da secoli tra interessanti storie sacre e misteriose leggende profane. Studiato e approfondito oltremodo da interpreti del calibro di Eduardo De Filippo, lo spirito di Pulcinella va ricercato negli esempi più lampanti della napoletanità, dentro e al di là del palcoscenico del teatro.

Lo Spagnolo, l’antagonista di Pulcinella

Insieme a Pulcinella, però, esistono una serie di altre maschere che incarnano tratti esilaranti, contraddittori e al contempo ironici che definiscono il variegato popolo partenopeo.

Una di queste è la maschera dello Spagnolo che alcuni supponevano fosse l’antagonista di Pulcinella, ovvero il Capitano spagnolo. La caratteristica di questa maschera era il suo vestiario, composta da: una mantelletta, un cappello piumato, merletti a sbrendoli sulle scarpe e una spada.

Lo Spagnolo, secondo le descrizioni dell’epoca, se ne andava in giro con un corteo di Pulcinelli smascherati che lo guidavano per le vie del centro. Questi con i loro tamburelli festosi richiamavano l’attenzione popolare e una volta disposti in cerchio, invitavano lo Spagnolo a ballare la tarantella.

Il Ciarlatano del Molo, un dottore a dir poco bislacco

Un’altra maschera apprezzata nella seconda metà del XIX era quella del Medico o del Ciarlatano del Molo che, tutto pomposo e pieno di sé, si vantava di essere il miglior genio della medicina, elargendo cure, formule e rimedi alquanto bislacchi.

Il suo vestito era composto da una lunga tonaca verde carico lunga fino ai piedi, con ritagli in argento incollati sul bavero, sulle maniche e sulle falde e da calzoni corti. Indossava una parrucca di carta bianca e rossa con lunghi codini sino ai piedi mentre il suo tratto distintivo erano i grossi occhiali pendenti sul volto.

Il Dottore se ne andava in giro sempre con la sua cassetta, colma degli strumenti del mestiere che utilizzava sia durante le rappresentazioni teatrali che per le rimostranze popolari.

Il Cavadenti, un dentista da evitare!

Simile a quella del dottore era la maschera del Cacciamole o del Cavadenti inscenato dagli scugnizzi che riciclavano un vecchio frac logoro, un cappello a tre punte tutto consumato e delle grossi lenti sul naso. Se ne andava per le strade a bordo di una carrozzella tutta scassata, improvvisandosi signorone.

Su questa faceva accomodare i suoi assistiti (complici della maschera) che dopo un’attenta analisi diagnostica (professando paroloni a caso) era pronto ad operare, cavando i denti con una grossa tenaglia o asportando, per sbaglio, tutta la mascella del povero malcapitato.

Pasqualotto, la prima maschera ermafrodita

Pasqualotto o Pascalotto invece era una maschera ottocentesca presente tutto l’anno e non si accompagnava mai a nessun’altra maschera. La sue due caratteristiche principali erano l’agilità ginnica con cui si divertiva a lanciare il suo lungo bastone in aria e riprenderlo (tipo majorette) e la sua ambiguità sessuale.

Era infatti l’ermafrodito per eccellenza: vestito da donna, ben truccato e dal seno prosperoso, se ne andava a spasso con il suo tamburello, divertendo la gente, cantando e ballando per la città.

Don Nicola, l’avvocato napoletano pioniere del “rap freestyle”

Nel XVIII secolo era presente anche la maschera di Don Nicola personificazione del classico avvocato napoletano che era inscenato sempre da popolani o attori improvvisati. Questa maschera vestita di tutto punto secondo la moda settecentesca, preceduto dal suo servitore in livrea con ombrello e sacca da viaggio, se ne andava in giro declamando versi, rime e filastrocche e onoranze funebri per il carnevale morto.

La sua bravura era trovare, nel minor tempo possibile, rime originali dialettali e mai uguali, passando fra le botteghe degli artigiani. Lui era lo spasso del popolo e faceva un teatro di altro genere, al punto che anche gli scugnizzi, per immolarlo, si travestivano da notai o avvocati nell’intento di sfidarlo per le rime. Don Nicola era un abile provocatore, molto arguto e perspicace intento a svecchiare le maschere seriose del teatro.

La Paglietta Calabrese, il “provincialotto” in città

Un lontano parente di Don Nicola è la Paglietta Calabrese la parodia dell’uomo di legge alquanto imbranato. Dato che durante il Carnevale era permesso prendere in giro i propri rivali di altri ceti o gruppi culturali, in questo caso si deridevano gli studenti calabresi che frequentavano l’Università di legge a Napoli. Questa maschera andava in processione con il corteo dei farinari dove recitava una scenetta, immedesimandosi nel classico provincialotto sbalordito dalla grande città.

Giangurgolo, il donnaiolo “osceno”

Ancora più napoletana è la maschera di Giangurgolo che appare già nel 1618: personaggio della Commedia dell’Arte, si distingue per il suo gusto delle oscenità.

Il suo nome è composto da Gian-Gianni e da gurgolo-gorgo un chiaro rimando alla voracità e alla fame da donnaiolo. Vestito come una specie di Capitano dell’esercito spagnolo, munito di spada, cappello a punta tipico calabrese, una maschera rossa, simile a Pulcinella che gli fa il nasone, va in giro da gradasso, salendo nelle carrozze delle dame, vantandosi del suo attributo sessuale e decantando versi proibiti da far arrossire anche le meretrici.

Il suo parlare è in calabrese napoletanizzato (per ironizzare sui calabresi dell’epoca) e secondo le cronache è una tipica maschera d’invenzione napoletana.

Scaramuccia, il professionista della bugia

Quella di Scaramuccia, poi, è una maschera dai tratti conflittuali, costantemente alle prese con diatribe e screzi di ogni sorta. Un soldato bugiardo, capace di compiere gesta eroiche solo nelle parole.

Un eterno insicuro, collezionista di sconfitte che ama vantare imprese millantate per entrare nelle grazie di giovani donne e malcapitati che hanno la sfortuna di incrociare i loro passi coi suoi.

Si trattò di un personaggio di grande successo, portato in Francia col nome di Scaramouche da Molière. Nella sua prima incarnazione, la maschera di Scaramuccia indossava un costume nero, cappellaccio e spada. Tiberio Fiorilli provvide a dargli l’aspetto con cui lo identifichiamo ai nostri giorni, con berretto al capo e chitarra al posto dell’arma.

Tartaglia, l’anziano presuntuoso e balbuziente

In ultimo andiamo a scoprire la maschera di Tartaglia. In molti attribuiscono le suo origini alle zone del veronese ma, in ogni caso, fu a Napoli che vennero messi in risalto i suoi tratti più distintivi.

Anziano presuntuoso e fin troppo indisponente, Tartaglia ha un pessimo gusto in fatto di abiti. Il suo aspetto goffo e a tratti grottesco, se consideriamo i lineamenti marcati e la calvizie, poi, non lo aiutano affatto nelle presentazioni. La maschera di Tartaglia indossa un abito verde e giallo, accompagnato da calze bianche, cappello grigio e mantello in tinta col vestito.

Tartaglia è balbuziente e, dal suo nome, deriva il verbo italiano “tartagliare”. A teatro, il personaggio veste i panni di giudice o di avvocato dall’innamoramento particolarmente facile. Spesso, il pubblico confonde Tartaglia con la maschera padovana del contadino Menega. Leggenda vorrebbe che, Tartaglia, non sia altri che Menega travestito da giurista per sfuggire alla povertà.

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