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Il discorso del sindaco Francesco Ferrari in occasione della cerimonia del 25 aprile

Pubblicato il 25 Aprile, 2022

Innanzitutto voglio rivolgere un ringraziamento a tutti i presenti alla cerimonia di oggi, alle autorità civili e militari, ai rappresentanti delle Forze dell’Ordine, alle associazioni d’arma, dei partigiani, dei reduci e dei combattenti e all’onorevole Pier Ferdinando Casini che oggi ci ha raggiunto a Piombino in occasione di questa importante ricorrenza, onorandoci della sua presenza.


La Festa della Liberazione è patrimonio di tutta la Nazione: una ricorrenza fondamentale per tenere viva nella memoria degli italiani il valore di chi ha lottato per la libertà del nostro Paese, il coraggio di chi non si è piegato a un regime ma ha resistito. Una giornata che però ci ricorda anche gli orrori della guerra, il dolore che comporta, le privazioni, la soppressione delle libertà fondamentali. 

Il 25 aprile, oltre a celebrare chi ha combattuto per liberare l’Italia dal Nazifascismo e consegnarci quel bene supremo che è la democrazia, deve anche servirci da monito per tenere il dramma della guerra più lontano possibile dal nastro tempo. Ecco perché non possiamo oggi non pensare che nella ricorrenza della data che mise fine alle ostilità sul territorio italiano, ci troviamo nuovamente a dover fare drammaticamente i conti con un conflitto nel mezzo dell’Europa, un conflitto che ci coinvolge tutti e che rischia di assumere dimensioni ancor più preoccupanti di quelle che, purtroppo, già lo caratterizzano.


A pochi chilometri dai confini del nostro Paese c’è un popolo che combatte per affermare il proprio diritto alla pace, all’autodeterminazione e alla giustizia. Ad esistere. Un popolo che si è ritrovato tra le macerie di una guerra che non gli appartiene, che non ha scelto di combattere. È questa una delle costanti dei conflitti: è sempre il popolo a pagarne il prezzo. Troppo spesso chi governa mette l’ideologia, le proprie mire e i propri progetti davanti al benessere dei cittadini; troppo spesso dimentica che gli unici obiettivi da perseguire sono la pace, l’equilibrio, la democrazia.


Le storie di guerra sono sempre drammaticamente simili: oggi come allora, si trovano famiglie divise da governi contrapposti, affetti bloccati aldilà di frontiere nate appena poche ore prima e che diventano invalicabili.
Oggi come allora, i protagonisti loro malgrado sono semplici donne, uomini e bambini la cui quotidianità si popola tragicamente di episodi sanguinosi; persone comuni che perdono tutto, troppo spesso anche la vita, in nome di guerre che hanno ragioni mostruose, che appartengono solo a chi le scatena e che però raramente ne paga le conseguenze. 

A questo scenario di per se già drammatico si aggiungono le ripercussioni sovranazionali, economiche e sociali che anche qui avvertiamo pesantemente.
Credo sia necessario fermarsi a riflettere sulla direzione che le nostre società hanno intrapreso. Evidentemente, la tragedia della Seconda guerra mondiale e della Shoah non ci hanno insegnato il rispetto dell’altro dove l’altro è il vicino di casa, il familiare, il collega di lavoro che può e ha il diritto di pensarla diversamente da noi, di avere un’altra fede o un altro colore politico, come lo è anche la Nazione confinante che ha il diritto di decidere del proprio futuro. Non ci hanno insegnato l’ascolto e il sacrosanto principio secondo il quale “diverso” non significa “sbagliato”.

È evidente perché ogni conflitto, a prescindere dai motivi che lo hanno scatenato, dal più grande al più piccolo, dalla guerra che sta imperversando in Ucraina alle liti più banali, si fonda sulla mancanza di ascolto reciproco, sul presupposto della ragione, sull’essere poco inclini a cambiare idea, ad accettare il fatto che nessuno è infallibile, ad accettare che un’opinione diversa non è necessariamente sbagliata e non mina in alcun modo la nostra posizione. E a tutto questo si somma la semplificazione che è figlia della superficialità: la contrapposizione tra pro e contro, tra “buoni” e “cattivi”, dove i buoni siamo sempre noi. Una realtà dove le sfumature si annullano in un bianco e nero pericoloso, una realtà dove non è possibile un’analisi più profonda e l’ascolto non è più un valore ma un segno di debolezza. Una realtà di inestricabile rumore in cui mancano le occasioni di dibattito virtuoso e rispettoso delle altrui posizioni; una realtà dove il dialogo diventa scontro, dove tutti si arroccano sulle proprie convinzioni senza lasciare spazio al dubbio.

L’unica residua possibilità di arrestare la carneficina e di evitare l’escalation del conflitto è che le democrazie riscoprano i propri valori e, per farlo, devono trovare il coraggio di compiere una seria autocritica. E, soprattutto, come è successo dopo la seconda guerra mondiale, di rifondare le proprie democrazie su valori egalitari.


Ripensare “tutte” le capacità del mondo contemporaneo in ottica nuova, costruendo nuovi modelli di cosa fare e come farlo, secondo principi di giustizia sociale e non più solo di libertà individuale.
Noi oggi, siamo chiamati ad impegnarci per invertire questa rotta e rivendicare il diritto alla libertà di opinione, al dialogo. Riguadagnare lo spazio necessario alla riflessione e all’approfondimento, alla mediazione, ricostruire la pace tra le Nazioni, certamente, ma prima di tutto tra gli esseri umani.

Dobbiamo rivendicare tutti quei valori comuni sui quali, a partire da quel 25 aprile, abbiamo faticosamente costruito la convivenza pacifica tra i popoli. Ogni guerra è un crimine incancellabile sul registro della storia, una macchia indelebile, un trauma inguaribile e dobbiamo lavorare per ricostruire le fondamenta della pace, dell’equilibrio. La pace non è un concetto astratto, un’utopia: è la diretta conseguenza delle nostre azioni come singoli che, sommate, diventano un’arma potente contro il conflitto.

Ogni giorno dobbiamo scegliere quale direzione vogliamo intraprendere, prima come individui e poi come società, e impegnarci per farci guidare nelle scelte da questi principi. É proprio per questo che esistono celebrazioni come quella del 25 aprile: oggi più che mai il nostro compito è trasmettere alle nuove generazioni questi valori, i valori che questa giornata porta con sé, quei valori che sono le fondamenta della nostra meravigliosa Italia, quei valori che ci aiutano anche a leggere il dramma dell’attualità e di tutte quelle persone costrette a fuggire o lottare per salvare la propria vita e difendere il proprio paese. Noi siamo chiamati a ricordare, a far vivere la memoria, a mantenerla salda, a farne la guida delle nostre azioni. Siamo chiamati a ricordare chi non ha avuto paura, chi ha dato anche la vita per regalarci la democrazia. Quella democrazia che deve continuare ad essere l’unico mondo che i nostri figli hanno conosciuto e conosceranno mai.

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