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Dal Gambia allo stage con Bottura: la favola di Ibrahima da Taranto

Pubblicato il 24 Febbraio, 2022

Ha 33 anni, viene dal Gambia e ora tarantino a tutti gli effetti. Narrano che nessuno stagista abbia mai avuto il coraggio di proporre un suo piatto a Massimo Bottura, perché lui, esigente come pochi, chiede l’autenticità, qualcosa che non ha mai assaggiato

«Quando arrivi da Bottura ci sono molti stagisti che vengono da tutte le parti del mondo, si parla portoghese, spagnolo, conosci tantissima gente diversa».
A parlare è Ibrahima Sawaneh, ha 33 anni, viene dal Gambia e ora tarantino a tutti gli effetti. Il giovane cuoco lavora nella cucina di un ristorante tarantino e ha appena terminato uno stage nella cucina dell’Osteria Francescana di massimo Bottura, tre stelle Michelin. Ibrahima spiega che il primo compito di uno stagista sono le preparazioni lunghe, come i brodi e le preparazioni base.

Qui però è rimasto una sola settimana, era bravo ed è andato direttamente a servizio in cucina. Il suo compito sono diventati gli antipasti e da lì non è stato spostato più. «Una conferma per me che sono sulla buona strada», ripete soddisfatto: «Ogni volta che penso che ho iniziato a cucinare molto tardi, non ho iniziato dalla scuola alberghiera. Cucinavo da piccolo a casa, imparando da solo, quasi non credo dove sono arrivato».

Le donne della sua famiglia non gli hanno insegnato a cucinare, come spesso succede. «Mi ispiravano» spiega sorridendo. «Mia mamma non l’ho mai conosciuta, è morta quando ero piccolo». Lui ha cominciato a cucinare influenzato da ciò che gli veniva raccontato di sua madre e di quanto amasse cucinare per la famiglia. «Cucinando immaginavo di essere parte di quel gruppo familiare che non ho mai potuto vivere».

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Ibrahima Sawaneh, dal Gambia a Massimo Bottura- FONTE

Narrano che nessuno stagista abbia mai avuto il coraggio di proporre un suo piatto a Massimo Bottura, perché lui, esigente come pochi, chiede l’autenticità, qualcosa che non ha mai assaggiato. Una richiesta difficile da assecondare per un palato come quello dello chef stellato.

Ibrahima ha pensato che il tempo dello stage fosse troppo breve per perdere l’occasione: «se mi dice che fa schifo, so dove devo lavorare – si è detto -, però se non provo non lo saprò mai». Così ha preparato per tutti i dipendenti un piatto tipico del suo paese: il Domodà. Ha mescolato ingredienti italiani e africani, attingendo al suo ricordo di casa. Mentre tutta la brigata mangiava il suo piatto, Ibrahima ha sentito Bottura domandare: «chi ha cucinato?» e poi, guardandolo, lo chef stellato ha detto: «è buonissimo, questo mi piace, è un piatto che non ho mai mangiato».

«Ho iniziato a piangere, non so neanche come sia possibile. Ho pianto pensando a mia mamma». Il suo sogno è realizzare piatti che mescolino ingredienti e sapori pugliesi con quelli africani, qualcosa che gli ricordi casa, come i sapori che ha sentito il primo Natale che ha passato a casa di Flavia, la sua compagna. Il suo viaggio è durato tre anni e quattro paesi, ha attraversato il deserto a piedi nascondendosi dai ribelli libici, ha cucinato e venduto cibo in un parcheggio del Senegal, è stato venduto ai trafficanti e attraversato il mare su un barchino di plastica che trasportava 125 persone.

Adesso ha una famiglia con cui condividere la sua cucina. Ha Flavia e i suoi genitori, un buon lavoro e tanti amici. «Mia suocera cucina sempre – ribatte Ibrahima -, andiamo molto d’accordo». Anche se ammette che la prima volta che gli ha servito il gorgonzola pensava che il formaggio fosse ammuffito e la suocera fosse impazzita. Lei gli ha insegnato i piatti tradizionali della cucina tarantina e pugliese e lui li rielabora per la cucina del ristorante dove lavora.

«Taranto è stata una casa per me, io sono stato accolto da Don Francesco Mitidieri in casa-famiglia nel 2014. Sono stato fortunato perché ho sempre incontrato persone che mi hanno sostenuto e aiutato, sin dalla signora che mi ha cresciuto al posto di mia mamma, fino a quelli che mi hanno lasciato le chiavi di casa loro quando ho finito il periodo nella casa Famiglia di Noi e Voi. “

“Appena mi fermo c’è qualcuno che mi dice “vedi che ce la fai” e io ringrazio ogni persona che mi ha aiutato, mi hanno cambiato la vita”. Il merito è anche suo, che ha iniziato come lavapiatti in un ristorante della Litoranea Salentina, che provava e riprovava i piatti che vedeva cucinare, che sosterrà la maturità alberghiera e sicuramente diventerà un grande chef. “Dai Ebrima che ce la fai”».

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