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Giù le mani da Indro Montanelli. Fucecchio insorge a difesa del suo concittadino più illustre

Pubblicato il 13 Giugno, 2020

Il Black Lives Matter degenera, si cercano tracce di razzismo dovunque, nin è più nemmeno al riparo nemmeno Winston Churchill, eroe del mondo libero, e nel calderone finisce anche Indro Montanelli

Sono lontani i tempi in cui i suoi dissidi con Silvio Berlusconi furono utili ad arruolarlo dalla parte politicamente opposta. Oggi Montanelli, che a Milano ha vissuto le fasi più belle e drammatiche (come l’attentato da parte delle Br) della sua carriera e che vi si è spento nel 2001, viene ricordato nella città meneghina da una statua, edificata nei Giardini Pubblici nel 2006, che lo ritrae intento a battere a macchina, ovviamente sulla sua inseparabile Lettera 22 della Olivetti.

Qualcuno vuole rimuoverla, quella statua, rievocando l’episodio che, nel 1935-36, durante la guerra in Etiopia, lo vide sposare una ragazza giovanissima, Destà, come era usanza della popolazione locale, e senza commettere alcun atto di violenza, di razzismo o di pedofilia. Quel tipo di matrimonio era addirittura un contratto pubblico, sollecitato dal responsabile del battaglione eritreo guidato dal giornalista.

La sua città di origine, Fucecchio, si è stretta compatta intorno alla figura di Indro Montanelli, e la vicenda è finita perfino al Tg5.

Molto netto il Sindaco di Fucecchio Alessio Spinelli, che così si è espresso su Facebook: “Rimuovere la statua di #IndroMontanelli a Milano sarebbe una follia. Una richiesta simile può arrivare soltanto da menti annebbiate dal fanatismo o da chi non conosce per niente la vicenda di Montanelli.
Bisogna riportare al centro la verità, i fatti e il contesto storico nel quale si verificarono: non ci fu violenza né ci fu alcun atteggiamento razzista da parte di Montanelli che accettò il ‘matrimonio’ con la giovane Destà su proposta dalla popolazione locale secondo i costumi abissini. Un episodio che il grande giornalista mai nascose e che per quanto oggi possa apparire basato su usanze ritenute deprecabili, non aveva niente di occulto o di violento, tanto che la giovane diede al suo primo figlio, che ebbe da un successivo matrimonio, il nome di Indro. Sarebbe stato davvero uno strano modo di evocare la presunta violenza. La statua deve rimanere al suo posto. Chi la vuol rimuovere farebbe meglio a studiare invece di pretendere di riscrivere la storia con il passaparola sui social”.

Dello stesso tenore l’intervento di Alberto Malvolti, Presidente della prestigiosa fondazione Montanelli-Bassi, al cui interno sono conservati molti oggetti appartenuti a Indro Montanelli, vi è un grande archivio delle sue opere e sono riprodotte fedelmente le due stanze di lavoro, quella di Roma e quella di Milano: “Si tratta di una violenta polemica che deforma rozzamente e in modo strumentale una vicenda mai nascosta da Montanelli e che deve essere giudicata nel contesto storico in cui è avvenuta. (…) Le testimonianze lasciate da Montanelli e il contesto storico in cui quei fatti avvennero dimostrano che non ci fu alcuna violenza né tanto meno ci furono atteggiamenti razzisti da parte di Indro, che accettò quel ‘matrimonio’ proposto dalla popolazione locale e celebrato pubblicamente secondo gli usi e i costumi abissini. (…) Riteniamo che anche il solo ipotizzare la rimozione di Indro sarebbe un’offesa alla memoria del più popolare e apprezzato giornalista italiano del Novecento oltre a rappresentare un insulto alla città di Milano che nel giornalista ha sempre riconosciuto un proprio cittadino di cui essere orgogliosa”.

Non è un caso che uno dei motti preferiti da Montanelli fosse: “Tutto ciò che sono lo devo a Fucecchio, tutto quello che sono diventato lo devo a Milano”.

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