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La leggenda del coccodrillo del Maschio Angioino: realtà o fantasia?

Aleggiano tante leggende misteriose sul famelico rettile che sarebbe vissuto nei sotterranei del Maschio Angioino.

Pubblicato il 25 Marzo, 2022

Una città ricca di storia e di tradizione come Napoli nasconde tantissime leggende, sospese tra realtà e fantasia.

Una di queste riguarda un misterioso coccodrillo, che avrebbe vissuto nelle viscere del Maschio Angioino. L’interesse verso questa leggenda si è infiammato nel 2004, quando furono ritrovati i resti di un animale molto somigliante proprio ad un coccodrillo.

Nel Maschio Angioino i sotterranei sono composti da due zone, che si trovano proprio sotto la Cappella Palatina: la Fossa dei miglio e la prigione dei Baroni.

La Fossa del miglio era utilizzata inizialmente per custodire il grano, ma fu poi ribattezzata la “Fossa del Coccodrillo”, diventando la dimora dei prigionieri condannati a morte.

Ma da dove nasce un nome così suggestivo?

Il coccodrillo divoratore degli amanti della regina Giovanna II

Come racconta Benedetto Croce nel libro “Storie e leggende napoletane”, nei sotterranei del castello c’era davvero un coccodrillo, trasportato dall’Egitto in Italia con una nave dalla regina Giovanna II, moglie di Giacomo di Borbone.

Si racconta che la donna amava i “facili amori” e tradiva ripetutamente il re. Per nascondere la sua infedeltà, come una mantide religiosa, uccideva i suoi amanti dandoli in pasto all’animale per evitare qualsiasi scandalo.

Il coccodrillo penetrava da un’apertura in comunicazione col sotterraneo e faceva un sol boccone del malcapitato amante, trascinandolo in mare.

La congiura dei Baroni

Un’altra versione racconta invece che Ferrante D’Aragona, re di Napoli dal 1458 al 1494, utilizzò il coccodrillo per eliminare i partecipanti alla congiura dei Baroni del 1486.

I partecipanti furono invitati con l’inganno ad un banchetto, per poi essere uccisi nella Sala dei Baroni e dati in pasto al famelico animale. Successivamente il re, per sbarazzarsi del coccodrillo, gli diede in pasto una coscia di cavallo avvelenata.

Il coccodrillo, una volta morto, fu fatto impagliare e poi agganciato alla porta d’ingresso del Maschio Angioino.

Anche lo scritto Alexandre Dumas non riuscì a resistere al mistero del coccodrillo del Maschio Angioino, tant’è che nel libro “Storia dei Borbone di Napoli” scrisse: “Da questa bocca dell’abisso, dice la lugubre leggenda, uscendo dal vasto mare, appariva un tempo, l’immondo rettile, che ha dato il suo nome a quella fossa”.

Sembra che anche Tommaso Campanella, filosofo e frate domenicano, fu imprigionato nei sotterranei. Evitò le fauci del coccodrillo, ma non le torture dei suoi carnefici che lo perseguitarono anche nelle segrete di Castel Sant’Elmo.

Leggende metropolitane, storia o fantasie che si sono tramandate nel tempo? Il mistero, come tanti altri di Napoli, città sospesa tra inferno e paradiso, resta irrisolto.

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