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Padova, parte il merchandising dell’Università patavina

Pubblicato il 28 Luglio, 2020

I prodotti di merchandising dell’Università raccontano la storia dell’Ateneo (il suo storico sigillo), i valori di Universa Universis Patavina Libertas – Tutta intera, per tutti, la libertà nell’Università di Padova, i personaggi illustri che hanno reso grande il Bo (Galileo Galilei, Lucrezia Cornaro Piscopia – prima donna al mondo a laurearsi), il suo immenso patrimonio (i cristalli che riproducono il Teatro anatomico, gli oggetto che riproducono l’Orto botanico o la Sala dei Quaranta).

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La storia dell’Università di Padova

Il motto

Il motto dell’Università di Padova è Universa Universis Patavina Libertas: tutta intera, per tutti, la libertà nell’Università di Padova. Sottolinea la libertà di pensiero e opinione che caratterizza l’Ateneo fin dalla sua origine, quasi ottocento anni fa nel 1222, quando alcuni studenti migrarono dalla sede universitaria di Bologna, il cui Comune svolgeva sempre più frequentemente controlli e pressioni sulle corporazioni studentesche.

Il Sigillo

Su un campo con nove stelle sono impresse le immagini del Cristo Redentore benedicente con la mano destra e con al fianco sinistro uno stendardo con una croce, alla destra del Cristo è Santa Caterina di Alessandria che porta al fianco sinistro la palma, simbolo con il quale nell’iconografia cattolica sono raffigurati i martiri e al fianco destro la ruota dentata, strumento del suo supplizio. Il Cristo e santa Caterina d’Alessandria erano i patroni rispettivamente dei due Studi, quello degli artisti e quello dei giuristi, nei quali dal 1399 alla seconda metà del Settecento era articolato lo Studio Padovano. Ai piedi delle due figure è riportato l’anno della fondazione MCCXXII e nel contorno la scritta Universitas Studii Paduani.

Galileo Galilei

Giunse a Padova nel 1592 per ricoprire la prestigiosa cattedra di matematica, dopo aver praticato come docente a Pisa dal 1589. Qui restò fino al 1610: più tardi avrebbe ricordato il periodo padovano come “li diciotto anni migliori di tutta la mia età”. È proprio in questa città che Galilei trascorse gli anni più proficui per i suoi studi: scrisse numerosi testi all’origine delle sue concezioni mature (soprattutto in meccanica), produsse strumenti, elaborò teorie che si sarebbero rivelate rivoluzionarie. Stabilì rapporti, tra gli altri, con Gianfrancesco Sagredo, poi uno dei protagonisti del Dialogo, e con Paolo Sarpi. Proprio in una lettera del 1604 a quest’ultimo compare la formulazione di Galileo della legge sulla caduta dei gravi. In quello stesso anno un ex dipendente dello scienziato lo denunciò all’Inquisizione padovana per scarso zelo religioso (compilava oroscopi per venderli e intratteneva una relazione non matrimoniale), ma la denuncia non ebbe corso. Ed ancora in quel periodo iniziò l’osservazione della “stella nova”, sulla quale tiene lezioni pubbliche. La sua notorietà, indiscussa nella Serenissima, valicò i confini quando pubblicò il Sidereus nuncius, nel 1610. Il trattato è il frutto delle osservazioni astronomiche fatte da Galileo con un nuovo strumento, chiamato più tardi “telescopio”, che lui stesso aveva ricostruito su informazioni indirette. Galileo in quel periodo in via dei Vignali 17 (oggi via Galileo Galilei): fu probabilmente dal cortile della sua casa che osservò quell’anno anche gli anelli di Saturno.

Lucrezia Cornaro Piscopia

Elena Lucrezia Cornaro Piscopia è conosciuta come la prima donna laureata al mondo, avendo ottenuto la laurea in filosofia all’Università di Padova nel 1678. Figlia naturale del nobile Giovanni Battista Cornaro, procuratore di San Marco, e della popolana Zanetta Boni, nacque a Venezia nel 1646, quinta di sette figli. Venne iscritta all’albo d’oro dei nobili a 18 anni, quando il padre sborsò 100.000 ducati per elevare a patrizi lei e i suoi fratelli. Si appassionò presto agli studi, in cui venne seguita dal padre, deciso a servirsi delle doti di Elena per riscattare il lustro della famiglia Cornaro; a questo scopo la affidò al teologo Giovanni Battista Fabris, al latinista Giovanni Valier, al grecista Alvise Gradenigo, al professore di teologia Felice Rotondi e al rabbino Shemel Aboaf, da cui Elena apprese l’ebraico. Studiò anche lo spagnolo, il francese, l’arabo, l’aramaico, e arrivò a possedere una profonda cultura musicale. Approfondì inoltre eloquenza, dialettica e filosofia prendendo, per quest’ultima, lezioni da Carlo Rinaldini, professore all’università di Padova e amico del padre. Accanto alla passione per lo studio, Elena coltivava un’autentica vocazione religiosa, che la spinse a diventare, diciannovenne, oblata benedettina. Questa scelta scontentò i genitori, intenzionati a farla sposare, ma evitò loro la delusione di una reclusione monastica e permise alla giovane di vivere seguendo la regola benedettina. Nel 1677 fece domanda per addottorarsi in teologia, ma il cancelliere dello Studio padovano, il cardinale Gregorio Barbarigo, oppose un fermo rifiuto alla sua richiesta. Grazie alla mediazione di Rinaldini, Elena Lucrezia poté infine laurearsi il 25 giugno 1678 in filosofia, e non dunque in teologia, come inizialmente desiderato.

Il Teatro Anatomico

Il Teatro Anatomico, completato nel 1595, è il primo esempio al mondo di struttura permanente creata per l’insegnamento dell’anatomia attraverso la dissezione di cadaveri. Questa tecnica, evolutasi di pari passo con lo sviluppo della scienza medica, diventa ricorrente nel Quattrocento: i documenti dell’epoca testimoniano come fosse diffusa la costruzione di strutture provvisorie, che venivano montate e smontate all’occorrenza, nelle quali gli anatomisti tenevano le loro lezioni ed eseguivano gli interventi. La loro forma ricordava quella degli anfiteatri romani. I corpi per le autopsie venivano consegnati all’Università dalle autorità giudiziarie: si trattava spesso, ma non sempre, di persone giustiziate.

Il Cinquecento è il secolo in cui l’anatomia padovana raggiunge il massimo prestigio: in città insegnano maestri come Andrea Vesalio, che dall’esperienza di Padova trarrà il suo capolavoro, De humani corporis fabrica (1543), opera fondamentale nella quale viene citato anche un teatro anatomico in uso a Padova che poteva contenere cinquecento spettatori. Altri grandi anatomisti del Cinquecento sono Gabriele Falloppio e Girolamo Fabrici d’Acquapendente, al quale si deve la realizzazione del Teatro. A forma di cono rovesciato, è articolato in sei ordini, di ampiezza variabile tra 7,56 e 2,97 metri. All’interno del Teatro, la lezione era tenuta da un professore assistito da due studenti (massari). L’illuminazione era assicurata solo da candele fino a quando, nell’Ottocento, venne aperto un lucernario. Per rendere l’atmosfera meno cupa, era frequente accompagnare la lezione con l’esecuzione di musiche dal vivo. Il Teatro Anatomico fu utilizzato fino al 1872, quando venne chiuso alla pratica delle autopsie.

L’Orto Botanico di Padova

L’Orto botanico di Padova fu istituito nel 1545 per la coltivazione delle piante medicinali, che allora costituivano la grande maggioranza dei “semplici”, cioè di quei medicamenti che provenivano direttamente dalla natura. Proprio per questa ragione i primi orti botanici vennero denominati “giardini dei semplici” ovvero horti simplicium. In quel tempo era già consolidata la fama dell’Ateneo padovano nello studio delle piante, soprattutto come applicazioni della scienza medica e farmacologica: qui infatti venivano lette e commentate le opere botaniche di Aristotele e di Tefrasto; sempre qui tra gli altri avevano studiato Alberto Magno di Laningen (1193-1280), considerato il più grande cultore della materia dopo Aristotele, e Pietro D’Abano (1253-1316), che aveva tradotto in latino la terapeutica greca di Galeno.

Nell’epoca in cui l’Orto fu fondato regnava grande incertezza circa l’identificazione delle piante usate in terapia dai celebri medici dell’antichità: frequenti erano gli errori e anche le frodi, con grave danno per la salute pubblica. L’istituzione di un horto medicinale, sollecitata da Francesco Bonafede che allora ricopriva la cattedra di “lettura dei semplici”, avrebbe permesso agli studenti un più facile riconoscimento delle vere piante medicinali dalle sofisticazioni. Per questo scopo il primo “custode” dell’Orto, Luigi Squalermo detto Anguillara, vi fece introdurre e coltivare un gran numero di specie (circa 1800).

L’Orto, per la rarità dei vegetali contenuti e per il prezzo dei medicamenti da essi ricavati, era oggetto di continui furti notturni, nonostante le gravi pene previste per chi avesse arrecato danni (multe, carcere ed esilio). Venne quindi ben presto costruito un muro di recinzione circolare (da cui anche i nomi di hortus sphaericus, hortus cinctus e hortus conclusus). L’Orto era continuamente arricchito di piante provenienti da varie parti del mondo, specialmente dai paesi dove la Repubblica di Venezia aveva possedimenti o scambi commerciali; proprio per questa ragione Padova ha avuto un posto preminente nell’introduzione e nello studio di molte specie esotiche.

La Sala dei Quaranta

La Sala dei Quaranta in particolare prende il nome dai 40 dipinti conservati che coprono quasi interamente le pareti. La sala è stata pensata, nel suo aspetto attuale, dal designer Gio Ponti e ospita anche la cattedra di Galileo. I dipinti sono relativi a personaggi internazionali che sono passati per le aule dell’Università di Padova. Tra tutti William Harvey, scopritore della circolazione del sangue, Stefano Báthory, Re di Polonia e Granduca di Lituania, Nicolò Cusano, giurista e filosofo, Michel (de) L’Hospital, Cancelliere di Francia, Thomas Linacre, medico di Re Enrico VIII, Johannes van Heurne, medico di Guglielmo I, Joahann Georg Wirsung, scopritore del condotto pancreatico maggiore, Caspar Bauhin, noto per la modifica della nomenclatura dei muscoli e l’introduzione di quella binomiale nella classificazione botanica, e Francis Walsingham, Principal secretary e membro del consiglio privato di Elisabetta I. Le loro storie raccontano come l’Ateneo sia sempre stato un centro di diffusione del sapere, in tutti i campi: sono rappresentati giuristi, umanisti, medici, botanici, naturalisti, poeti, vescovi, provenienti da diverse zone geografiche, a ricordare la vocazione internazionale dell’Ateneo.

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