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Strage di Erba

Strage di Erba, spuntano 3 nuovi testimoni mai ascoltati che potrebbero scagionare Rosa e Olindo

Pubblicato il 11 Gennaio 2024

La strage di Erba è una delle pagine più nere della cronaca italiana sulla quale sembrava essere stata posta la parola fine, ma dopo quasi 20 anni potrebbe arricchirsi di un nuovo clamoroso capitolo con un finale diverso. Dopo la richiesta di revisione di Olindo e Rosa potrebbe clamorosamente riaprirsi il caso, poiché sono emerse 3 nuove testimonianze che scagionerebbero i due coniugi. L’ipotesi che prende sempre più corpo è che la strage possa essere legata allo spaccio di droga della zona per colpire Azouz Marzouk, marito di Raffaella Castagna e padre del piccolo Jousseph.

Il primo testimone

Come riferito da Il Messaggero, Azouz Marzouk aveva confessato le sue paure ad un compagno di cella, Abdi Kais, che avrebbe dichiarato: “Azouz mi ha detto, prima che io uscissi di galera, di tenere d’occhio Raffaella e il loro figlio Jousseph. Sembrava molto spaventato e scuro in volto”.

Kais, oggi 38enne, ha rivelato che in quel periodo era in atto una faida per conquistare le piazze di droga nel comasco tra la banda tunisina, di cui faceva parte Marzouk con i suoi cugini e fratelli, e una banda marocchina.

Le sue dichiarazioni sono state raccolte in una saletta privata dell’hotel Royal Victoria di Tunisi, il 19 febbraio 2023, nell’ambito delle indagini difensive portate avanti dall’avvocato Fabio Schembri, legale di Olindo e Rosa, alla presenza di Ivano Iai, a sua volta legale di Kais.

Il secondo testimone

Nel fascicolo sono contenute altre due testimonianze di persone mai ascoltate nei tre precedenti gradi di giudizio che hanno portato alla condanna all’ergastolo di Olindo Romano e Rosa Bazzi.

Il secondo testimone è Fabrizio Manzeni, che abitava in via Diaz, che il giorno dopo la strage aveva rilasciato questa testimonianza: “Mi sono affacciato alla finestra per sbattere la tovaglia e ho notato due persone di sesso maschile, adulte, verosimilmente extracomunitari, in corrispondenza del cancello di casa mia, che stavano discutendo animatamente tra loro. Uno di loro aveva un cellulare con un display luminoso e grande e gesticolava con una terza persona che non ho visto”.

Nonostante la rilevanza della testimonianza l’avvocato Schembri ha comunicato che il verbale fu trasmesso in Procura solo dopo la confessione di Olindo e Rosa.

Il terzo testimone

La testimonianza di Manzeni è avvalorata dalla dichiarazione di Ben Chemcoum, nordafricano di 56 anni, che aveva detto ai carabinieri di aver “incrociato un uomo molto robusto, con il cappotto chiuso e le mani in tasca, con un berretto scuro” proprio la sera dell’11 dicembre, quando si consumò l’orribile strage.

Inoltre aveva dichiarato di aver visto in zona un furgone bianco parcheggiato, da dove sentì una voce tunisina che diceva “aia fisa”, cioè “vieni subito”. Aveva poi aggiunto che, dopo tale frase, “quella persona che aveva incrociato si è affrettata, quasi correndo. Quindi ho visto il furgone allontanarsi velocemente”.

Olindo e Rosa innocenti?

Comincia ad insinuarsi qualche dubbio sulla colpevolezza di Olindo e Rosa, che si sono sempre professati innocenti e hanno accusato di essere stati incastrati. La pista che si sta seguendo è quella dello scontro tra bande per il controllo del territorio ai fini dello spaccio.

Nell’audizione dello scorso febbraio Abdi Kais aveva parlato di una “faida con i vicini di condominio, marocchini, per questioni di cocaina”. Una lite, secondo Kais, si sarebbe verificata in un palazzo a Merone, a 7 chilometri da Erba, dove il gruppo di Marzouk aveva una base.

Kais ha parlato di un certo Fahmi, socio di Marzouk: “Fhami negò di rifornire i marocchini e allora si presentarono con dei coltelli, puntandoli alla gola di Amer, dicendogli di portarli sopra, nell’appartamento di Merone. A quel punto sono intervenuti i vicini che avevano udito le grida. Si sono presentati per uccidere”.

Un racconto inquietante, anche perché presenta diverse similitudini con la strage di Erba. Dopo quella violenta lite la base operativa del gruppo tunisina fu spostato a Erba: “All’interno c’erano delle piante e la nascondevamo lì. I guadagni invece venivano custoditi in casa da Raffaella, insieme a orologi e altri oggetti di valore. Dopo aver saputo della strage, ho pensato a una rissa perché Fahmi si stava esponendo sempre di più”.