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Samarate

Strage di Samarate: il figlio scampato alla furia del padre è uscito dal coma

Pubblicato il 31 Maggio 2022

Nicolò Maja, il 23 enne di Samarate, in provincia di Varese, scampato alla furia del padre Alessandro che, il 4 maggio scorso, ha trucidato in casa sua la moglie Stefania e la figlia Giulia di 16 anni, è sveglio e riesce a comunicare a gesti.

Lo ha confermato l’avvocato di famiglia Stefano Bettinelli: “Nicolò è decisamente migliorato e sembra davvero riesca a rispondere, anche se a gesti, alle domande. Una notizia bellissima, seppure la prognosi non sia stata ancora sciolta e il percorso sarà molto, molto lungo”.

Samarate
Alessandro Maja, Stefania Pivetta e i figli Giulia e Nicolò

L’assassino, il papà Alessandro, a sua volta ricoverato in Psichiatria, aveva colpito Nicolò al volto e alla testa con cacciavite e martello. Il medesimo modus operandi e le medesime armi casalinghe utilizzate dall’architetto imprenditore 57enne, reo-confesso del massacro, contro la moglie Stefania, d’un anno minore, e la secondogenita Giulia, di 16 anni: la prima uccisa mentre dormiva sul divano al piano terra della villetta del paese in provincia di Varese, la seconda aggredita sul suo letto al piano superiore, nella camera a fianco di quella di Nicolò, 23 anni, che Maja credeva fosse ugualmente morto.

Un mese dunque dalla strage. La distanza temporale non ha permesso di aggiungere ulteriori significativi elementi. O quantomeno: si sta al momento cristallizzando, nelle indagini dei carabinieri del Comando provinciale di Varese coordinati dalla locale Procura, un’evidente alterazione della realtà raccontata dall’assassino.

Maja, che ha una società di ristrutturazione e interior design a Milano sul Naviglio Pavese che si occupava in particolar modo di rifare bar e ristoranti, nel difficile interrogatorio, reso proprio in ospedale tra svenimenti e deliri, ha parlato di drammatici problemi economici. Il che si allinea con le frasi, ribadite in casa fino alla persecuzione, contro moglie e figli colpevoli, a suo dire, di spendere troppo e non pensare mai ad accantonare del denaro. 

Insomma Maja prospettava a sé e alla famiglia un’esistenza di miseria, non fosse che, al momento – certo non si escludono novità – gli inquirenti non avrebbero isolato determinanti riscontri.

L’analisi del conto bancario, l’ascolto dei due commercialisti che seguivano Maja, non avrebbero svelato retroscena. All’inizio si era pensato a un rovescio finanziario, nel senso che, considerata anche l’abitudine dell’architetto di muovere soldi in nero, poteva aver azzardato un’operazione rischiosa investendo ingenti somme e finendo per perderle; oppure, aveva debiti con persone che non aspettano né perdonano, gravitando in un ambiente rischioso per una persona quale Maja che, in ogni modo, non ha trascorsi criminali e frequentazioni con balordi.

Ma se il diretto interessato non spiega, non fa nomi, non fornisce coordinate, resta difficile esplorare eventuali scenari che potrebbero anche contemplare ipotetiche responsabilità penali di terzi. Responsabilità sempre esterne al massacro, avvenuto tra le quattro e le cinque di notte, e conclusosi con la messinscena di un tentato suicidio, in quanto Maja rivolse contro di sé un martello e un coltello da cucina, provocandosi ferite lievi a polsi e addome.

Forse aveva pianificato anche quest’ultimo atto, che prevedeva il suicidio, e forse non è riuscito a concretizzarlo. Ma anche qui, finché lui non ritrova lucidità, e nessuno sa quando avverrà, se mai avverrà, la completa narrazione di quest’ennesima strage in famiglia nel Varesotto risulta parziale.

I genitori di Stefania, che dopo un lungo periodo di inattività aveva ripreso a lavorare, come ambulante vendendo prodotti di bellezza, da subito hanno posto le loro basi del processo: che nessuno provi a considerare Alessandro Maja un individuo incapace di intendere e di volere, poiché ha premeditato il massacro da giorni, forse settimane. Innegabile dato di cronaca è quello delle attuali condizioni mentali dell’assassino: si presumeva una sorta di progressivo recupero, con le dimissioni da Psichiatria e il trasferimento in carcere, però così non è; dopodiché, già si sa che l’eventuale detenzione andrà monitorata ventiquattro ore al giorno in quanto Maja potrebbe cercare di togliersi la vita.