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Talent di autori: Beatrice Bargiacchi

Beatrice Bargiacchi

Pubblicato il 1 Maggio, 2021

Di Gordiano Lupi

Oggi vi parlo di Beatrice Bargiacchi che ho conosciuto come narratrice leggendo e pubblicando alcuni suoi racconti in antologie, quindi come poetessa di valore pubblicando Tre estati, un lavoro originale, una sorta di romanzo in versi, che conduce il lettore verso uno sviluppo narrativo senza dimenticare la musicalità della lirica. La presentazione la affido alle sue parole. Un altro cervello in fuga, come capirete leggendo, perché – pare impossibile – non si può vivere in Italia facendo cultura. Sarebbe un tema da approfondire. 

Mi chiamo Beatrice Bargiacchi e sono nata a Grosseto il 4 gennaio 1992. Sono sempre stata affascinata dalle lingue e dalla letteratura, per cui ho deciso di studiare latino e greco. Mi sono laureata in Filologia, Letteratura e Storia dell’Antichità presso l’Università degli Studi di Firenze, nel 2018. Da lì, ho deciso di voltare pagina e trasferirmi in Belgio, per inseguire il mio sogno di lavorare nel campo della cultura e dell’educazione. Attualmente vivo a Liegi e lavoro in un’associazione culturale. Una mia grande passione è sempre stata la scrittura. Ho pubblicato il libro Schegge d’attimi nel 2011 con la casa editrice Innocenti Edizioni, seguito dal racconto Sempre caro, nel 2015, con Il Foglio Letterario, con la quale ho pubblicato il libro Tre Estati nel 2018 e il racconto I nostri Universi, a gennaio 2020. Il mio primo articolo è stato La Transiberiana: un viaggio ai confini del mondo per IlGiunco.net, nel 2019. Dal 2020 scrivo articoli per Mobmagazine.it.

Lo stile di Beatrice è innovativo sin dalla forma narrativa perché spesso nei suoi racconti fa parlare i personaggi con un carattere grafico diverso, oppure utilizza questo stratagemma per caratterizzare certe situazioni. La sua narrativa è legata ai grandi temi esistenziali e risente di una cultura classica ben metabolizzata, sia per l’attenzione nello sviluppo della storia che per la scelta accurata dei vocaboli. Siamo di fronte a una narratrice consapevole e matura che quando scrive con lo strumento della poesia resta narratrice completa, continua a raccontare storie di uomini e donne che vogliono essere liberi di esprimere le loro potenzialità senza lasciarsi frenare dai vincoli della morale o delle convenzioni borghesi. In questo breve racconto, che narra (con voci diverse) prima l’attesa e poi la nascita di un figlio, possiamo apprezzare tutta la sensibilità poetica di Beatrice, lasciandoci coinvolgere da una struttura narrativa dotata della suspensenecessario per rendere il racconto intrigante, coinvolgente e pieno di patos. (Gordiano Lupi)

I nostri universi

È  tranquillo qui dentro. Soffuso. Mi lascio galleggiare inerme. O forse non galleggio affatto. Forse sono immobile e l’universo mi galleggia intorno. Ma adoro questo mondo ovattato. È calmo e lieve, è tutto ciò che ho sempre avuto. E il silenzio, dentro a questo mio pianeta, è gigantesco. Ma si rompe, ogni tanto. Sento tanti suoni, che arrivano da lontano, che rimbombano al di fuori di queste pareti ovattate. Non li capisco tutti, ma alcuni ho imparato a riconoscerli. C’è la sua voce, dolcissima. La sua voce è la mia preferita. La sento in modo diverso dalle altre. La sua è cristallina, limpida.  Quelle degli altri riecheggiano da lontano e si infrangono contro le spesse mura di questo universo, la sua ci entra dentro, si diffonde ovunque e gorgoglia sulle onde di questo mio mare calmo. La sua voce è incantevole. Mi si arrampica un brivido sulla schiena ogni volta che la sento. Mi scuote qualcosa, in un punto preciso di me che non so cosa sia e non sapevo neanche di avere prima di sentire Lei che parla. Che MI parla.

Prima della sua voce non avevo idea che esistesse un “me”, non sapevo di essere qualcuno, non sapevo neanche di esistere, per la verità. Inizialmente ignoravo anche che ci fossero “altri”, poi ho sentito per la prima volta la sua voce, e da lì ho capito di non essere solo. Poi quella voce ha iniziato a parlarmi. A parlare a me! È da lì che ho capito di esistere. O forse è da lì che ho cominciato ad esistere. Credo che prima che Lei iniziasse a parlarmi io non ci fossi neanche: Lei ha deciso che esistevo e così mi ha creato, parlandomi. Sono una sua creazione e una sua creatura. Oppure semplicemente c’ero già, ma Lei è stata la prima ad accorgersi di me, a dare importanza alla mia esistenza. 

Non so di preciso da quanto esisto, non mi sono mai accorto di essere stato creato. Non ho mai avvertito il momento in cui ho smesso di essere nulla e sono diventato qualche cosa, potrebbe essere successo milioni di anni fa. Oppure ieri. Non so neanche esattamente cosa sono, in realtà. Sempre ammesso che io sia qualche cosa. Forse sono solo un pensiero galleggiante. Forse sono un residuo della sua voce che si è staccato ed è rimasto qua, ad oscillare in questo buio. Mi chiedo spesso che cosa sia Lei. All’inizio pensavo che fosse semplicemente quella voce meravigliosa, soffice, che fluttua sull’acqua del mio cosmo. Poi ho iniziato a sentirla, i suoi passi, il suo muoversi all’interno di una realtà a me sconosciuta, e ho capito che non è una voce, ma che ne ha una: è  una creatura. E  parla con altri come Lei che la vedono, la toccano, l’abbracciano. Io non sapevo che si potesse abbracciare qualcuno, né che si potesse vedere: qui dentro è tutto buio. Ma ci sono altri esseri che possono farlo. Tutto questo l’ho imparato grazie a Lei. 

A volte queste scoperte mi intristiscono. Lei ècosi diversa da me, è capace di cose che io non so fare. Anche il suo aspetto è diverso dal mio, ne sono sicuro. Non che io abbia mai visto il mio aspetto, non so neanche se ne ho uno, forse non ce l’ho. Ma in ogni caso non credo che sia come il suo. E questo mi fa paura. Non appartenerle, essere qualcosa di altro dalla sua natura. E tutti quegli esseri che,a differenza mia, possono vedere come è fatta, che possono parlarle e conoscerla. Provo una fitta allo stomaco solo a pensarci. E scopro di poter avere fitte e di avere uno stomaco.

E cerco di immaginarmi il suo mondo. Sarà un universo nero e acquatico come il mio, eppure tanti rumori mi arrivano da là fuori. Allora cerco di figurarmi quella realtà che Lei vede e vive e scopro di essere in grado di immaginare, cosa che non sapevo fare prima. È stata  la voglia di avvicinarmi a Lei che me lo ha fatto imparare.

Cerco dei modi per farmi notare, ho scoperto che il mio universo non è infinito, ci sono delle pareti e io posso colpirle e ogni volta che lo faccio Lei mi sente e si accorge di me. E sento il calore della sua mano contro quelle pareti, una mano enorme e calda. La sua.

Continua a dire che ci incontreremo, che non vede l’ora di vedermi. Sentire queste parole mi fa venire i brividi. Mi fa paura. Non so cosa penserà di me, non so se riuscirò a piacerle. Lei è perfetta. Non potrei mai sopportare di deluderla. L’idea che Lei mi veda e che non le piaccia il mio aspetto, che nemmeno io conosco e non so che mi piacerà, mi fa tremare. Ogni volta che questi pensieri mi spaventano, tiro in fretta un calcio alle pareti, così da farmi sentire. E allora Lei mi parla. E quella voce, ripiena di tenerezza e di fiducia, mi porge in mano il suo mondo, un orizzonte di promesse d’amore, di felicità da vivere insieme. La sua voce non ha dubbi né paure. Il modo in cui m parla porta in sé la sicurezza di chi conosce già il futuro, il nostro, e me lo vuole dare in braccio. Le sue frasi sono piene di fiducia. Lei sa. Conosce il nostro destino, che è quello di stare insieme. E quando ne è sicura Lei lo divento anche io. E riesco a vedere la verità: questi nostri due universi, così lontani e diversi tra loro, sono fatti per riunirsi. Stanno percorrendo un cammino inevitabile, l’uno verso l’altra, in una rotta di collisione che è lo scopo e la ragione del loro viaggio. Sono nati per trovarsi. Come io e Lei.

Non so quando ci incontreremo. Il tempo qua dentro non esiste, non ha forma. Sono qua da sempre. E il sempre non lo so quantificare. Questa realtà è tutto ciò che conosco e l’idea che esista qualcosa di diverso è un concetto colossale, troppo ripido per poterlo scalare. Cerco di intuire qualche frammento, ascoltando i rumori che provengono da fuori. Il suo universo è pieno di suoni stranissimi. Alcuni più piacevoli di altri. Alcuni rumori si presentano spesso, sono i suoni di ciò ch più le piace. C’è un posto in cui va sempre, Lei la chiama “piazza”. Non so cosa sia, ma mi piace perché piace a Lei. Certe volte è piena di voci, che mi piombano addosso fitte e squillanti, in una nebbia di rumori difficili da districare. In altri momenti invece è tranquilla, placida. È così che la preferisco, quando posso scoprirne e riconoscerne i suoni. Sento il brulichio del vento, e l’acqua che si infrange e ruggisce. Spero di riuscire a vedere, un giorno, che aspetto hanno tutte queste parole che sento. E assegnare un’immagine ai nomi, attribuire forme a quelle parole che così spesso gocciolano dalle sue labbra. So soltanto che lei adora quel posto, quella “piazza”. E ci va spesso. È il suo posto. E sarà un giorno il mio.

E passo il tempo ad immaginarmi quello che sta facendo, ad indovinare il suo aspetto e il suo nome, ascoltando le conversazioni con gli altri. A vederla nei miei sogni, nei riflessi di queste acque 

buie. Sentirmi il cuore battere. E scoprire che lo fa a tempo con quello di Lei. O forse 

è il suo stesso cuore che, battendo, defibrilla il mio e gli dà vita. Sapere che 

la mia esistenza è appesa alle sue labbra, ai suoi gesti, che mai ho visto, 

ma che riempiono i miei occhi. Diradare l’oscurità che mi sommerge 

e cercarci dentro Lei. Legare la mia mente alla sua. Appendere 

al suo respiro i miei giorni, la mia gioia e il mio tempo. 

Costruire le mie idee attorno al momento in cui 

ci troveremo. Adorarla. Senza mai averla 

incontrata. Senza sapere nulla di Lei. 

Eppure conoscerla, ancora più 

di me stesso. Cosa è mai

tutto questo se non, 

inevitabilmente,

Amore.

Per Lei e per 

il futuro che ci aspetta.

Per tutto il tempo che abbiamo

da vivere insieme. Per quella piazza

frastagliata dalle onde, che le ruggiscono 

addosso. Per la mia voce mescolata alla sua.

E il suo battito e il suo respiro, amalgamati ai miei.

Per il mio cuore sul suo cuore. Le mie mani che un giorno

si avvolgeranno alle sue. I miei sorrisi che si rifletteranno nei suoi.

La poesia del nostro incontro che sta per avvenire, che sento arrivare sempre

più vicino. Che sta per legarci, per lanciare il mio universo dentro al suo. E lo so

che sta per succedere. So che il tempo atteso ad immaginarci a vicenda adesso si sta stringendo.

E li sento. I chilometri che ci dividono si accorciano e accartocciano fino a scomparire. E questa forza che mi freme dentro mi sta spingendo fuori dal mio buio. Sto arrivando, mamma. 

Tutta l’eternità che abbiamo atteso ora può comprimersi, svanire. Sto per raggiungerti. Non soffrire, mamma. Le tue grida sono la canzone che aprirà le porte della nostra vita. Delle strade, i deserti e le maree che solcheremo insieme. Delle notti che passeremo a stringerci. Non piangere, mamma. Le tue lacrime le scaglierò via con i miei baci, con le carezze. E gli abbracci che ci scambieremo daranno un senso al dolore che stai provando adesso.

Adesso che sto arrivando.

Adesso che lascio il mio universo e precipito nel tuo.

Adesso che sono nato. E che sono qui. Tra le tue braccia.

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