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TALENT DI AUTORI: Francesco De Luca

Francesco De Luca autore

Pubblicato il 24 Aprile, 2021

Di Gordiano Lupi

Francesco De Luca (Roma, 1979) si è laureato in Scienze della Comunicazione, ha studiato cinese presso l’ISIAO e all’Università di Lingua di Pechino (BLCU), dove si è trasferito nel 2006. 
Un cervello in fuga, si potrebbe dire, come ce ne sono tanti, in tragico aumento in campo letterario, perché sono sempre meno gli editori che scommettono sul merito e cercano veri talenti.
Molto più comodo affidarsi al fenomeno di turno reduce da un programma televisivo di successo, oppure inventarsi una scrittrice bella da vedere nelle trasmissioni culturali (ce ne sono ancora, a parte Marzullo?), quando non sono impegnati a ristampare l’opera omnia di uno dei tanti scrittori di noir del patrio suolo. De Luca non si perde d’animo, nel 2011 è tra i fondatori dell’Associazione Sviluppo Italia Cina per contribuire alla promozione dei rapporti amicali, culturali e sportivi tra i due Paesi. In Cina ha collaborato con le riviste OutsideCCTV5TravellerCoastal Life. Rientrato a Roma nel 2015, ha lavorato come interprete e traduttore per l’Ufficio Immigrazione, per il Dipartimento del Turismo e per lo Studio Legale Italia Cina.
Ha pubblicato la silloge Anomalie (Terre Sommerse, 2016), il romanzo Karma Hostel (Il Foglio Letterario, 2019) e Un Uomo Felice(Del Vecchio Editore, 2020), traducendo la prima raccolta italiana del poeta cinese Hai Zi. È presente nell’antologia Roman Poetry Festival, (Ponte Sisto, 2019). Al momento sta lavorando alla traduzione di Lo scenario invisibile. Mente, allucinogeni e I Ching diTerence e Dennis McKenna, a un’antologia di GuCheng, poeta oscuro cinese, e a un libro d’arte del pittore polacco Zdzisław Beksiński. Vive a Roma. Credo di averlo scoperto come narratore, perché Karma Hostel è il romanzo che raccoglie anni di esperienza a stretto contato con la cultura cinese, un vero manuale che introduce alla conoscenza di vita e abitudini di un popolo per noi così distante. Francesco De Luca – un po’ come capitava a me con Cuba fino ad alcuni anni fa, adesso mi sono abituato – s’incazza ogni volta che sente pronunciare i soliti luoghi comuni sulla Cina, prova a intervenire per far capire che la questione di turno andrebbe affrontata con maggiore conoscenza e preparazione. Non ha ancora capito che da noi quel che conta è l’apparenza, non quel che facciamo e quel che siamo, ma quanto siamo in grado di vendere ottone al posto di oro. Francesco De Luca, da vero intellettuale, va avanti per la sua strada, litiga con i Mozzi di turno, non considera Murgia e Postorino, traduce cinesi e fa conoscere autori sconosciuti, propone letteratura in cambio di veline.

In Italia è dura, lo sa bene, ma come capita a chi ama la cultura, continua ad andare avanti, in direzione ostinata e contraria. Io ve lo presento come poeta, con un testo intitolato 1979, pubblicato sull’antologia Roman Poetry Festival, Edizioni Ponte Sisto, 2019.

1979

Sono nato nel Settantanove in una zona di periferia che non conosce nessuno  Serpentara cosmica dei pantani ultimo avamposto di un niente declamato a Capitale  invaso da saltimbanchi verdi gialli blu che non fanno non sanno non sono. Sono nato nel Settantanove quando è crollata la poesia sotto una luna insabbiata color paglia quando a Roma non veniva già più nessuno. Perché a Roma ormai non si viene più ci si nasce o ci si muore. Roma non la si sceglie, coi suoi altari troppo alti di marmo così costoso e ricercato a coprire fondamenta in putrefazione senza ostie e senza sacerdoti. Mentre bambine vengono stuprate a San Lorenzo, giovani immigrati per colpa o per destino spazzan le strade chiedendo indietro due monete due, tra tutte quelle loro rubate, con sorrisi che non conosciamo più. Dei cinesi fotografano San Pietro comprando case mentre svendiamo la Storia per due pugni di banconote  andiamo a Tenerife. Le bandiere sventolano sotto una pioggia chimica e dove sono i poeti? Dove sono coloro che da sempre hanno indicato la direzione la strada la scorciatoia per non cadere  nel buio più profondo della corruzione e del degrado? I poeti non cantano più perché vengono uccisi smembrati derisi investiti, affondati come barattoli di latta  come poltrone piene di pulci impossibilmente anallergiche  ospiti indesiderati, brancolanti. Tra ciechi, vengono chiamati ciechi Tra poeti, pazzi tra ciechi. Sono nato nel Settantanove l’ultima generazione prima che finisse il Novecento quella che andava all’università sessuata e bella, eroe greco in un turbinio di pecore. Quando prendere il trentotto barrato era un atto gioioso, un regalo del destino e si percorreva il tratto Archimede Filattiera tra siringhe lamiere e vipere morte. Oltre quel punto bisognava immaginarsi come andare, senza cellulari, senza palmari. In tasca solo un gettone, ma bisognava usarlo bene. E c’era un piccolo colle, con sotto una villa romana anche importante pare, da lì scendevano come Unni i ragazzi di Fidene. Scattavano risse chiodate sassaiolate e cani selvatici ci raggiungevano come lupi o forse erano lupi. Ma abbiamo tradito tutto ciò che non avremmo dovuto abbandonare,  fatto tutto quel che non avremmo dovuto fare, in nome di un progresso  che nulla è se non paura di affrontare se stesso. Si cerca il nuovo, l’esotico, la coca la puttana la politica del potere proibizionista schiavista, l’inciucio fascista. Senza più biciclette Via delle Isole Curzolane incrocia un Tufello in cui non ci si spara neanche più, in cui i vecchi barcollano – o sono poeti? – abbandonati senza tempo non c’è tempo, schiacciati così come siamo da noi stessi e non da altro. Schiviamo vuoti, buche, in attesa di un cambiamento per braccio di chi?  Aspettiamo il giorno in cui il potere non avrà più potere. Nessuna dipendenza! Solo libertà! Ho sorvolato l’Himalaya perdendomi tra i vicoli di innumerevoli città d’Asia, aspirando droghe, seducendo donne e ho ricominciato, nel tornado di colori che multidimensioni offrivano al mio andare; dalla Cina del Nord al Vietnam Hainan Sichuan Pechino. A Simatai ho visto Roma che come un germoglio spuntava sulla Grande Muraglia abbracciando un sole Orientale e son tornato alla Piramide Cestia per portare un fiore a Keats a Shelley.  Tutto è sembrato un’allucinazione, così come un’allucinazione sono io a voi e voi a me mentre parlo una non parola che non è poesia ma suono proveniente da un altrove, chissà dove. Odore d’incensi, suoni di venti. Sono nato nel Millenovecentosettantanove quando è crollato un sogno ma ancora vado chiedendo Che Paese sarà mai l’Italia senza la Poesia?

Allego anche il video fatto da Vladimir Di Prima e Alfio Vecchio.

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