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“Talent Scout di Scrittori” di Gordiano Lupi: GIULIA CAMPINOTI

Pubblicato il 20 Marzo, 2021

Andiamo avanti nella ricerca di voci nuove, preferibilmente giovani, ma non solo, perché nella scrittura e nella poesia sappiamo bene quanto un’età matura produca buoni frutti, per maggiore consapevolezza e intensità di pensiero. In questo caso parliamo di una scrittrice giovane, una vera e propria promessa della letteratura come Giulia Campinoti, classe 1988, narratrice, poetessa e disegnatrice. Nel 2006, un terzo posto al concorso letterario Vincenzo Rosano, sezione racconti, conferma che la scrittura è la sua strada, ma è solo nel 2017 che Giulia debutta nel mondo editoriale, con il romanzo René Dubois – La vita ai tempi di Dario Mancuso (Il Foglio Letterario). Collabora con la rivista trimestrale online Il Foglio letterario, dove cura la rubrica Manga fever, recensioni di fumetti nipponici. Giulia compare in diverse antologie, in veste di poetessa e di narratrice: Bullismo a scuola – Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono (2008); Piombino in love (2020), Raccontare Campiglia 2020, Il pensiero omologato e la dipendenza emotiva nell’era tecnologica (2020). Dal 2020, collabora con la testata Costa Etrusca, con la rubrica Le pillole di Giulia, dove parla di varie forme d’arte; un suo racconto viene pubblicato su Sipario, celebre rivista di settore che vanta collaboratori iconici del passato come Eugenio Montale e Alberto Moravia. Al momento, Giulia sta lavorando alla novelisation de Il mio ultimo giorno ad Auschwitz, sceneggiatura teatrale da lei realizzata anni fa; insieme al sottoscritto, invece, sta creando Piombino in Musica, antologia curata a quattro mani dai due scrittori, anche autori nel progetto.

Vi presento una breve prova narrativa che dimostra tutto lo stile poetico e onirico di Giulia Campinoti, scrittrice di grande sensibilità, sospesa tra realtà e finzione, capace sia di ambientare i propri racconti in luoghi ignoti ricorrendo all’immaginazione, come di recarsi nei posti individuati come teatro dell’azione per fissare i momenti essenziali e risultare più credibile. Il suo romanzo di esordio, René Dubois, è un coacervo di generi narrativi, un vero e proprio feuilleton che contiene tutte le passioni narrative dell’autrice, dal giallo al thriller passando per il fantastico e l’action-movie, ma rappresenta anche un interessante studio psicologico sul tema del doppio. Lavori successivi di taglio narrativo sono elaborazioni fantastiche della realtà dotate di una struttura onirica e psichedelica che non rispecchiano i canoni della tradizione narrativa ma tendono a romperli e a superarli. Il prossimo lavoro la vedrà all’opera con un tema affrontato da autori importanti, lei non si spaventa del possibile paragone con i grandi della letteratura e – partendo da una vecchia sceneggiatura – sta costruendo un romanzo sul dramma dell’Olocausto. Per non dimenticare, sembra dire la giovane autrice. Il pregio principale della scrittura di Giulia Campinoti è la grande duttilitàla volontà di sperimentare nuove strade, oltre a basarsi su una fervida fantasia capace di spingerla a ricercare nuove soluzioni narrative, accontentando il lettore più esigente e smaliziato in fatto di azione, senza rinunciare a fare letteraturaNon è poco. 

Specchi rotti nell’Anima di Giulia Campinoti

Credo nei sogni. A vent’anni, i miei erano pastelli di palloncino nell’aria, solleticati da zefiri briosi. Le iridi verdi trapassavano qualsiasi velata foschia, in nome di una limpida e intima vocazione. Sentire è la sostanza nei miei respiri, è la dimensione parallela nei miei attimi, è l’invisibile brivido sulla pelle mia increspata. All’epoca, il Mondo era un oceano sconfinato, nel quale regnava la silenziosa quiete del mare, acquosa essenza sciabordata sulla rupe. Vivevo pensando soltanto alla calma piatta, trascurando la presenza della tempesta perfetta. Immaginavo un percorso ideale dritto e liscio, alternato da qualche curva qua e là, e infine un ricco bottino, il premio luccicante dei veri campioni. Consideravo la prudenza l’unico e fidato consigliere, quello che sussurrava all’orecchio di sognare coi piedi ben saldi per terra, per evitare in futuro aspro pentimento impossibile da cancellare. Invece, c’erano anche tanti nemici e varie avversità da fronteggiare. Prima o poi, da neutralizzare. Il mare era una tavolozza di sfumature, il blu cobalto si perdeva dove il verde acqua vinceva, le correnti marine spremevano le tempere a loro piacimento, creando una miscela imprevedibile di incidenti tinteggiati. Perciò, con le palpebre abbassate, il corpo era immerso nella pura trasparenza, trascinato dagli umori delle maree, schizzato dalla schiuma biancastra, sfiorato dal gabbiano a picco sul mare. In un istante, mi trasformo, e divento anch’io un grande pennuto, colpito dalla canna rovente del violento cacciatore. Stridula sofferenza fa eco nell’azzurro cielo, terso e sgombro da nubi, ma all’improvviso, si cala in una frenetica picchiata. Mi faccio fatiscente meteora, mi tengo stretta-stretta in un abbraccio disperato di fetale parvenza, perché mentre mi scaglio a tutta birranegli abissi, ho paura di scomparire per sempre. È spaventoso capire di avere la Mente e l’Anima fuori posto, e sentire di non sentire più. Ti rimiri con meraviglia, senza più saper riconoscere le tue emozioni, i tuoi desideri, il tuo cammino …

Tu … Chi sei?

Barcollo nell’ignoranza della novità, adesso sono il fantasma della cattedrale incendiata, e vago senza sosta e senza meta, adornata di specchi rotti. Li guardo, quei frammenti frastagliati dal riflesso corrotto, privi ora di lignea cornice. Mi chino a raccogliere i pezzi, li analizzo un po’, poi li metto da parte. Mi domando se il delirio mi abbia mutata in un eterno mostro vuoto, però quando la pazzia mi dà tregua dando spazio a sprazzi di coscienza, tento lo stesso di riallacciare le corde lacerate. Negli istanti di lucidità, domande infinite assembrano la testa in subbuglio, e con quelle effimere bende di sanità provvisoria, annaspo con insistenza per non affogare nel gorgo, cercando tormentate soluzioni ai miei guai illimitati. Salvatitutelati, prima che il cucù suoni l’ora oscura e scendano ancora le tenebre: mi scrivo pizzini di sopravvivenza per strapparmi al venturo pericolo. Sono preda dell’oscillamento del Fato, esausta e accasciata sopra a una zattera di bambù, perché ho perduto la rotta, e chissà se la riconquisterò… Il sole cocente mi abbaglia in un lampo, mi scalda subito lo spirito e mi ritempra le ossa fratturate e scomposte. Mi proteggo con l’avambraccio dalla luce eccessiva, ma ho un radioso sorriso cucito sul cuore. Anche nell’occhio del ciclone. Sopra, gli abiti consueti nascondono una diafana sottoveste chiamata Speranza, e la indosso in ogni occasione. È con quella folgore accecante che arranco verso la strada smarrita, è con quel barlume rovente che lotto per ritrovarmi, ed è ridendo dal profondo con le ceneri fra le mani che sogno ora, tornata vittoriosa dal tartaro con l’Anima fra i denti. 

Credo nei sogni. A trent’anni, campo con approccio empirico nella mia comune quotidianità, coi miei palloncini spumeggianti legati a una solida zavorra. Sono io e non sono più io oggi, perché quegli specchi rotti di un tempo sono diventati altri specchi, ora luccicanti, riparati, ricollocati, dal sapore antico e moderno, in sincronia. Dal balconcino dell’attualità, intravedo possibili scenari, e fisso l’orizzonte chiedendomi se ho raggiunto la saggezza senile che ambivo a conseguire verso i trenta. Nell’etere, rimbomba una risposta: lo scoprirai domani, quel dì lontano in cui ti accomoderai sopra una sedia a dondolo redigendo un confronto fra le sfide raccolte e i rimpianti accantonati.

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