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Taranto, ’Ambiente svenduto’: dalle perizie emergono numeri preoccupanti

Pubblicato il 6 Aprile, 2022

Il processo «Ambiente svenduto» svoltosi a Taranto ha avuto in dote un importante e fondamentale «anticipo», l’incidente probatorio chiesto dalla Procura nel giugno del 2010 e consolidatosi nelle due perizie redatte dai consulenti nominati dal giudice per l’udienza preliminare Patrizia Todisco

TARANTO – Il processo «Ambiente svenduto» svoltosi a Taranto ha avuto in dote un importante e fondamentale «anticipo», l’incidente probatorio chiesto dalla Procura nel giugno del 2010 e consolidatosi nelle due perizie redatte dai consulenti nominati dal giudice per l’udienza preliminare Patrizia Todisco, il cui esito fu utilizzato dallo stesso magistrato per motivare il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca del quale ora si chiede la revoca.

In particolare, il professor Annibale Biggeri, docente ordinario all’università di Firenze e direttore del centro per lo studio e la prevenzione oncologica, la professoressa Maria Triassi, direttore di struttura complessa dell’area funzionale di igiene e sicurezza degli ambienti di lavoro ed epidemiologia applicata dell’azienda ospedaliera universitaria «Federico II» di Napoli, e il dottor Francesco Forastiere, direttore del dipartimento di Epidemiologia, Asl Roma, si sono occupati degli effetti epidemiologici delle emissioni del siderurgico, lavorando alla presenza dei legali e dei consulenti delle parti.

Le risposte fornite all’autorità giudiziaria non furono secche ma gli esperti tramite tabelle ed elaborazioni riuscirono comunque a stabilire il nesso tra le emissioni dell’Ilva di Taranto e le malattie, in alcuni casi mortali, contratte sia dai dipendenti del siderurgico che da chi risiede nelle zone vicine, a partire da quanti abitano nel quartiere Tamburi, al Borgo, in città vecchia e a Paolo VI.

Nelle 282 pagine della perizia è emersa una realtà drammatica. Secondo gli esperti, infatti, nei 7 anni presi in considerazione, sarebbe 174 i decessi avvenuti a Taranto e in particolare nei quartieri Tamburi e Borgo, nei quali è stato registrato il quadruplo di mortalità e il triplo di ricoveri per malattie cardiache rispetto all’intera città. I consulenti del giudice hanno poi studiato le condizioni di salute dei lavoratori del centro siderurgico che hanno prestato servizio negli anni 70-90 con la qualifica di operaio.

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«È emerso – si legge nella perizia – un eccesso di mortalità per patologia tumorale (+11%), in particolare per tumore dello stomaco (+107), della pleura (+71%), della prostata (+50) e della vescica (+69%). Tra le malattie non tumorali sono risultate in eccesso le malattie neurologiche (+64%) e le malattie cardiache (+14%). I lavoratori con la qualifica di impiegato hanno presentato eccessi di mortalità per tumore della pleura (+135%) e dell’encefalo (+111%). Il quadro di compromissione dello stato di salute degli operai della industria siderurgica è confermato dall’analisi dei ricoveri ospedalieri con eccessi di ricoveri per cause tumorali, cardiovascolari e respiratorie».

Il chimico industriale Mauro Sanna, il funzionario dell’Arpa Lazio Rino Felici, il chimico Roberto Monguzzi e l’ingegnere chimico Nazzareno Santilli si sono, invece, occupati, sempre su mandato del gip Patrizia Todisco, del versante chimico delle emissioni dell’acciaieria.

Nette le conclusioni alle quali sono giunti i 4 periti, almeno stando a leggere le risposte date ai 6 quesiti posti dalla dottoressa Todisco. Secondo gli esperti, infatti, dallo stabilimento Ilva si diffondono gas, vapori, sostanze aeriformi e sostanze solide (polveri ecc.), contenenti sostanze pericolose per la salute dei lavoratori operanti all’interno degli impianti e per la popolazione del vicino centro abitato di Taranto e dei comuni vicini.

Sono riconducibili alla stessa Ilva i livelli di diossina e di Pcb rinvenuti negli animali abbattuti, appartenenti agli 8 allevatori parti civili nel procedimento, così come sempre addebitabili all’Ilva sono i livelli di diossina e Pcb accertati nei terreni circostanti l’area industriale di Taranto; all’interno dello stabilimento Ilva non sono osservate tutte le misure idonee ad evitare la dispersione incontrollata di fumi e polveri nocive alla salute dei lavoratori e di terzi.

Le rilevazioni dell’ing. Santilli e dei dottori Sanna, Monguzzi e Felici soprattutto riguardo le emissioni di gas e polveri sono preoccupanti. Nel 2010, leggendo una tabella acclusa alla perizia, sarebbero state misurate emissioni di ben 4.159 tonnellate di polveri, di 11.056 tonnellate di diossido di azoto e 11.343 tonnellate di anidride solforosa.

Numeri importanti ma di gran lunga minori rispetto alla stima effettuata, sempre dai periti, riguardo alla capacità produttiva dello stabilimento Ilva: 13.246 tonnellate di polveri, 34.401 tonnellate di diossido di azoto, 49.327 tonnellate di anidride solforosa. Un cenno particolare viene riservato al fenomeno dello slopping – le nuvole rosse che periodicamente fuoriescono dall’Ilva – che contribuisce a far uscire dall’acciaieria una rilevante quantità di polveri, documentata sia dai periti che dagli organi di controllo, a partire dai carabinieri del Noe di Lecce che nel giugno del 2011, al termine di un monitoraggio, sollecitarono il sequestro degli impianti, un sollecito tenuto in nessun conto visto che il 4 agosto dello stesso anno l’Ilva ottenne l’Aia dal Governo Berlusconi.

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