Pubblicato il 10 Marzo, 2022
Farina, zucchero e olio di semi: Unicoop Firenze pone un limite all’acquisto di alcuni prodotti. Chi teme la guerra, infatti, tende all’accaparramento. Cartelli che parlano del razionamento sono presenti nei supermercati della prima insegna in Toscana della Gdo.
Massimo quattro pezzi per cliente per olio di semi di girasole, farina e zucchero
Per quanto riguarda beni “particolarmente sensibili, che arrivano dalle zone interessate dal conflitto e che sono: olio di semi di girasole, farina e zucchero” si possono comprare soltanto quattro pezzi per cliente. Si tratta di garantire a tutti la disponibilità dei prodotti: “la situazione al momento è tale da poter spingere ad alcuni accaparramenti, nonostante non si prefiguri a breve termine nessun rischio concreto di mancanza di prodotti nei supermercati”.
Intanto, è boom dei prezzi di pane e pasta
Nei listini delle Camere di commercio e Borse Merci nazionali, schizza il prezzo dei cereali. Sono stati raggiunti i 405 euro a tonnellata per il grano: quasi 80 euro/t in più rispetto a sette giorni prima. La farina fa registrare un rialzo di 100 euro/t per tutte le varietà. Per quanto riguarda il mais, ci sono 87 euro a tonnellata in più, secondo quanto afferma la Borsa merci telematica italiana. Ecco che per il consumatore costano di più pane, pasta e prodotti legati al mais.
Tutto ciò dipende in questi giorni dal blocco alle esportazioni deciso dall’Ungheria: si tratta del primo Paese fornitore dell’Italia, sia per il grano tenero, sia per il mais. C’è poi l’aumento precauzionale degli stock da parte della Bulgaria: ecco che nelle giornate di lunedì 7 e martedì 8 marzo c’è stata un’ulteriore impennata nel mercato italiano, come ricorda Agi.
I due principali fornitori del nostro Paese sono proprio Ungheria e Ucraina, che raggiungono il 50% delle importazioni italiane di mais (44% nel periodo gennaio-novembre 2021).
Ma parliamo del grano tenero utilizzato nella panificazione: quasi un quarto del totale di grano tenero importato annualmente dall’Italia (23,4% nei primi undici mesi del 2021) proviene dall’Ungheria. La Bulgaria detiene invece una quota di poco inferiore al 5%.
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