11 settembre 2001: complotto, o una serie di tragiche scelte ed errori?

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Sono trascorsi 19 anni da quella mattina dell’11 settembre 2001 che ha sgretolato per sempre la certezza di una Nazione e di un modo di pensare e di vivere, quello cosiddetto occidentale, di essere invincibile. Interessi economici e geopolitici nell’area mediorientale hanno inasprito col tempo gli animi di un fondamentalismo religioso che, sempre meno, ha accettato l’intrusione politica, militare e culturale degli Stati Uniti e delle nazioni amiche. Quest’ odio latente, covato sotto la cenere, ha raggiunto il suo apice in quella tragica giornata che, nello spazio di appena due ore, ha visto perire quasi 3000 vittime innocenti per mano di un manipolo di seguaci, addestrati allo scopo, del movimento islamico estremista di al-Qaida capeggiato da Osama Bin Laden.

11 Settembre, come sono cambiate le nostre vite

Gli attentati hanno, di fatto, modificato per sempre la percezione della sicurezza riguardo i traffici di persone e merci tra le nazioni del mondo e dato il via ad una nuova fase di instabilità politica ed economica caratterizzata dai conflitti armati in Afganistan e Iraq e da un susseguirsi di fasi altalenanti da parte dei maggiori mercati borsistici internazionali. Il prossimo anniversario dell’11 settembre ci ricorda quelle che sono le certezze riguardo quei tragici eventi: i mandanti dell’attacco, gli esecutori e, purtroppo, i nomi di quelle vittime inconsapevoli di un piano terroristico devastante negli intenti e nel risultato. Ancora oggi si odono gli echi delle decine di inchieste, reportage, documentari che dal web, alla carta stampata, ai network televisivi, fino agli schermi cinematografici si sono fatti portavoce di un pensiero complottista che non ha mai accettato la verità dei fatti così come ci sono stati presentati dai media e dalle commissioni governative che avrebbero “sviscerato” dettagli sugli attentati di quel giorno.

Il pensiero “complottista”. Le teorie di Michael Moore

Portavoce più illustre di questa scuola di pensiero è stato il regista  Michael Moore, celebre per i suoi docufilm di inchiesta su temi caldi inerenti la scena culturale, economica e politica degli Stati Uniti, tra i quali ricordiamo Bowling a Columbine, premiato con l’Oscar. Con la realizzazione di Fahrenheit 9/11, Palma d’Oro a Cannes nel 2004, il regista americano ha posto l’accento su tutta la serie di intrecci ed interessi economici e politici che hanno, a detta sua, influenzato in maniera più o meno rilevante le decisioni e la linea di condotta in termini di sicurezza nazionale e, successivamente, di strategie militari dell’allora presidente George W. Bush e della sua amministrazione. Il docufilm ha, cronologicamente, raccontato le diverse relazioni economiche tra Bush e i suoi, prima soci in affari, successivamente elementi di spicco dell’amministrazione al governo, e la famiglia Bin Laden. Relazione “ancora in essere” al momento degli attentati. Ha sottolineato come simili relazioni potrebbero aver influenzato in maniera negativa l’efficienza degli enti preposti alla sicurezza nazionale (F.B.I., C.I.A., N.S.A.) nel vigilare sui movimenti e sugli interessi economici del Gruppo  Bin Laden e di quegli esponenti della scena saudita presenti nelle maggiori realtà finanziarie ed industriali statunitensi che, successivamente, si sono rivelati coinvolti in vari modi con l’organizzazione degli attentati stessi. Moore ha anche portato avanti la sua tesi secondo cui gli attentati dell’11/09 hanno rappresentato per Bush la “scusa” per il dispiegamento delle forze belliche americane sul territorio afgano e iracheno, con enormi ritorni sul piano economico e politico con il conseguente inasprimento delle leggi e dei regolamenti atti a esercitare un controllo maggiore sulla vita sociale e culturale degli Stati Uniti. Dopo tutti questi anni potremmo spiegare quanto accaduto l’11 settembre 2001 attribuendo la colpa unicamente all’approssimazione e alla sciatteria dell’amministrazione e dell’ intelligence americana che, forte di un senso di superiorità e “mal posta” sicurezza nei propri mezzi, ha sottovalutato tutta una serie di indizi e comportamenti sospetti che hanno caratterizzato i mesi antecedenti gli attentati. Oppure si potrebbe accettare il fatto che la classe politica al potere negli Stati Uniti in quegli anni ha volutamente indirizzato la storia degli ultimi 20 anni per perseguire interessi particolari e non per il benessere e la salvaguardia degli interessi di un popolo ferito e senza una guida salda dopo quel terribile 11 settembre 2001.

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Daniela Devecchi

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