Così Concetta Tumminia.
La preside che desiderava far nascere un “fiore nel deserto” sta perdendo la speranza, così come racconta il Corriere, che ha raccolto il suo urlo disperato.
Carattere battagliero, forte. Perché senza questo spirito non si resiste 30 anni, prima da insegnante poi da dirigente, sul fronte di Librino, quartiere di Catania. Perché la scuola che dirige è un fortino. Ma senza mura, senza recinzioni senza nulla. Librino è assieme a Scampia il più grande centro di spaccio e smercio di droga d’Europa.
Ma la cosa che è successo venerdì scorso, dice, l’ha scossa.
Tumminia non crede più che il fiore, ovvero la sua scuola, con i mille laboratori di musica e di arte, punto di riferimento di associazioni, possa davvero sbocciare nel deserto rappresentato da Librino e ciò che in parte lo designa: i sacchi di immondizia, le strade sgarrupate, la mancanza di luce elettrica, la percezione di vivere nella più totale insicurezza.
Uno è stato colpito alla testa con il calcio della pistola, ad un altro hanno spezzato un braccio. Un terzo, se l’è cavata con un taglio tra l’orecchio e la guancia. Quando sono andati via hanno sparato in aria. Per far capire chi comanda. La preside racconta cosa significa essere un “preside di frontiera”.
“Io combatto contro uno stato mentale: vabbè è successo il furto, l’atto vandalico, la minaccia armata, e allora? Siamo a Librino… Ma non va assolutamente bene. La scuola dovrebbe essere sempre e ovunque un presidio di legalità. Ho fronteggiato situazioni critiche. Ogni tanto qualcuno entra e ruba i computer, gli strumenti musicali, le macchinette delle merendine. E se non trovano niente, rompono quel che hanno davanti. Vandalizzano. Imbrattano le pareti. Ma quello che è successo venerdì cambia radicalmente lo scenario. La gravità delle cose. Per noi che conosciamo molto bene il territorio osserviamo il sintono di un’evoluzione”, spiega.
“Fino a sei-sette anni fa qui venivano arrestati i capo mafia. Queste erano le operazioni di polizia a due passi dalla mia scuola. Oggi ci sono anche le baby gang. La violenza muta natura. Noi docenti, e aggiungo i volontari delle associazioni, siamo dentro la giungla, indifesi. Quello che accade è il metro di misura dell’importanza che la politica dà alla scuola, cioè nessuna. Abbiamo tanta gente che ha voglia di riscatto e tanti ragazzi che studiano musica, suonano strumenti musicali e che dopo la terza media si iscrivono alle scuole superiori”, sottolinea.
“La mia natura è battagliera. Ma sto pensando molto seriamente di mollare. In questi giorni mi è caduto addosso il mondo. Ho come l’impressione che le battaglie che ho fatto sono state inutili. Non posso lamentarmi. Negli anni sono stata supportata da docenti storici meravigliosi, da associazioni che non mi hanno mai abbandonata. Non mi sono mai sentita sola. Ora però sono scoraggiata, ho tolto molte energie alla mia vita, a me stessa, alla mia unica figlia. Per che cosa? Non so se avrò la forza di andare avanti”, conclude.
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