Ex Ilva: Salvatore Mattia, ‘Le problematiche trascurate e i risvolti odierni’

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L’Ilva, in origine “Italsider” è un azienda che nasce con una logistica errata già dalle sue fondamenta. Gli impianti vengono costruiti frettolosamente su un area pianeggiante, scelta appositamente sul mare e che finisce a ridosso della città. L’impianto sotto controllo del comparto siderurgico Finsider, viene inaugurato con orgoglio nel 10 Aprile del ’65 dal Presidente della Repubblica Saragat.

L’azienda garantirà all’Italia due terzi del fabbisogno nazionale di acciaio. L’ubicazione nel Mezzogiorno, afflitto dalla povertà più assoluta e dalla disoccupazione, viene scelta con la cinica consapevolezza di reperire facilmente manodopera. Il territorio di Taranto in nome dell’occupazione e nel sogno di uno sviluppo ai fini di un riconoscimento nazionale come polo industriale, rinuncia per sempre ad un area naturalistica e paesaggistica che sarà lesa e tradita nelle aspettative di occupazione, paventate in origine.

L’Italsider è uno degli investimenti più convenienti mai realizzati per un ampliamento industriale. Essa costituì un prolungamento degli esistenti impianti di Piombino e Vado Ligure. I numeri dell’area compresa, sono impressionanti: vanno tra la statale 7 Via Appia, la superstrada Porto-Grottaglie, la strada Provinciale 49 Taranto-Statte e la Provinciale 47, una superficie di 15.450,000 mq un estensione che doppia la città, un mostro di capannoni, ferraglia e parchi minerali: 12 batterie di forni, 5 altiforni, 2 impianti di agglomerazione minerale, 2 acciaierie, 5 colate continue a 2 linee per bramme, 2 treni nastri di laminazione a caldo, 2 decapaggi ad acido cloridrico, 1 decatreno, 1 impianto di rigenerazione di acido cloridrico con 3 forni di arrostimento, 1 linea di elettro zincatura.

Paradossalmente è proprio a ridosso del siderurgico che si sviluppa l’area con la più forte densità di famiglie di operai, “la Zona Tamburi” in quanto gli stessi trovavano comodo l’accesso alla fabbrica, quando all’inizi degli anni ’70 erano del tutto sconosciuti gli effetti dell’inquinamento. E’ questo il “quartiere simbolo”, in cui si svilupperà un forte degrado di salute e vivibilità.

Oltre al danno ambientale, causato dall’inquinamento e dalle emissioni incontrollate, si sono sempre distinte scarsissime condizioni di sicurezza ed incuria, sia durante la costruzione dell’impianto che nel ciclo della lavorazione delle materie prime, che ha visto falcidiare tragicamente migliaia di vite, per la mancata automazione iniziale degli impianti, per la quale molti lavoratori hanno pagato con la vita.

Negli anni in questione, furono proprio tali disumane condizioni a spingermi ad entrare nell’esecutivo di fabbrica, di ambiente e sicurezza, come “rappresentante sindacale”. Furono numerose le denunce in Procura nel 1987 presso l’allora Pretore Sebastio, per il degradante stato lavorativo e per l’alto numero di “morti bianche”. Tali e tanti esposti che per il pressing effettuato ed il fastidio arrecato “all’apparente buon nome dell’azienda”, subii la ritorsione del licenziamento, revocato esclusivamente per il forte supporto dei lavoratori, che cominciarono finalmente a maturare in quel frangente storico, la cultura del “diritto lavorativo”.

L’Italsider ha inghiottito vite e ambiente della citta di Taranto e la salute dei suoi abitanti per un area vastissima che coinvolge anche sua provincia, peggiorando la situazione con la privatizzazione avvenuta nel 1995, quando con la gestione Riva, la fabbrica venne ceduta satura di problematiche stratificate, oramai all’apice del suo impatto ambientale.  Una mossa politica furba da parte dello Stato, che dopo aver depauperato le risorse della città, scaricava il fardello nelle mani dei privati.

Il mancato piano di reinvestimento sul risanamento del territorio, complice una politica locale inerte e corrotta e quella nazionale cieca ed irresponsabile, oggi il caso ILVA è esploso con tutta la sua drammaticità a seguito delle denunce dei Periti della Repubblica per la grave situazione Sanitaria di Taranto, evidenziate da prove scientifiche inconfutabili, come “disastro ecologico”.

Omissioni perpetrate per 50 anni, “da me segnalate assiduamente” a personaggi autorevoli che sono intervenuti negli incontri, congressi e convegni, anche presso la camera dei deputati, quando nel 2000 come presidente del Comitato Consultivo dell’ INAIL si lottava per il “riconoscimento dell’indennità” sul mesotelioma pleurico, causato dalla forte presenza di amianto nello stabilimento.

Oggi abbiamo una perizia epidemiologica pari ad un bollettino di morte. L’esposizione continua agli inquinanti, liquidi, polveri ed emissioni atmosferiche hanno causato nella popolazione fenomeni degenerativi di diversi apparati che si traducono in: mortalità per patologie respiratorie, asma aggressivo sui bambini, tumori in età pediatrica, tumori maligni dello stomaco, della laringe, del polmone di reni e vescica, leucemie e linfomi, malattie neurologiche…senza dimenticare l’alto tasso di diossina, negli esseri viventi come nel latte materno delle neo mamme, e i valori spropositati presenti negli animali, caprini, ovini recentemente abbattuti con un decreto e nei pesci e mitili, di cui viene smantellato l’allevamento nel mar piccolo, altamente inquinato.

Per i motivi sopracitati il 26 luglio 2012 il GIP di Taranto dispone il sequestro senza facoltà d’uso dell’area a caldo, i parchi minerali, le cokerie, l’area di agglomerazione, altiforni ed acciaierie, con arresto disposto per Emilio Riva e il figlio Nicola Riva ed altri vari dirigenti. L’accusa è “gestione con volontà inquinante perpetrata coscientemente e sulla volontà della logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza” Oggi in queste condizioni disperate, diverse ipotesi vengono avanzate, da una parte quella dei GIP di bloccare tutta la produzione per demolire bonificando e ricostruire un’azienda che abbia caratteristiche legali di compatibilità ambientali e mano al portafoglio dell’ILVA, spetta tutto all’azienda il risanamento, sotto il profilo economico, visti gli introiti ricavati da una popolazione che ha pagato e paga con il prezzo della vita.

Attualmente questa proposta, viene purtroppo strumentalizzata dalla stessa azienda “per intimidire” la magistratura e l’opinione pubblica, ma soprattutto gli operai, che mal rappresentati, si lasciano andare a scontri ideologici con altri gruppi di pensiero, presenti altresì numerosi nella popolazione. E’ necessario oggi più che mai evitare queste spaccature sociali e garantire un supporto economico e progettuale realistico e coscienzioso, affinchè i fondi stanziati dallo Stato, nella persona dai vari  ministri siano nettamente superiori a quelli proposti, sinceramente inadeguati per disporre una bonifica seria di un così vasto territorio e dall’altra parte, la magistratura deve proteggere la legalità venendo incontro ad altre proposte che non ledano la possibilità del lavoratore di poter continuare ad avere un lavoro per sostenere la propria famiglia.

Di fatto la questione Ex ILVA non è semplice e ci attendiamo ancora sviluppi, nell’augurio che quantomeno si inizi a sopprimere l’emissione di sostanze inquinanti, su questo povero territorio offeso, nel tempo che si discute e si fanno congetture sul futuro dell’impianto.

PER QUESTO CHIEDIAMO “Al Governo Draghi  di non barattare la salute e la sicurezza dei lavoratori ,con accordi e  accordicchi  strani e non chiari”e ai nuovi acquirenti,( ormai vevchiun impegno solerte affinché si possano affrontare le questioni che affliggono questa cttà .Non si può accettare   passivamente la volontà di chi deve gestire la fabbrica, di ridurre organici diretti e indiretti, affosando ancora nel baratro,le aspettative di speranza ai lavoratori ,ai giovani e alle mamme e a tutti i cittadini di questo territorio Tarantino Così bello e sofferente da ormai troppo tempo …per un futuro migliore “Se lo  Merita la città”! (comunicato stampa Salvatore Mattia Segretario Provinciale PSI Taranto).

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Dante Sebastio

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