“Duecentoventisei persone, tra giovani, studenti, lavoratori e professionisti della provincia di Ragusa, hanno lasciato la propria casa, il proprio territorio, nel 2019 per cercare fortuna altrove, più propriamente nelle zone del Settentrione (il 56%) ma anche in Paesi europei (il 38%) e nel resto del mondo (la parte rimanente della percentuale, il 6%). E anche nell’anno della pandemia, il 2020, registriamo l’abbandono del territorio ibleo da parte di 42 persone. Siamo certi che nel 2021 questo trend, considerata la campagna delle vaccinazioni a regime e l’attenuarsi della presenza del Covid, nonché il graduale abbandono della pratica dello smart working, sia destinato ulteriormente a salire. Bisogna assolutamente fermare questo esodo”.
E’ quanto afferma la segretaria generale dell’Ust Cisl Ragusa Siracusa, Vera Carasi, esprimendo la propria preoccupazione per la consistenza di un fenomeno che, al netto del calo registratosi durante l’anno della pandemia, ha comunque fatto registrare numeri davvero notevoli in passato. “Secondo la Cisl – chiarisce Carasi – fermare l’esodo deve essere uno degli obiettivi dell’attuazione del Pnrr e per questo occorre ora realizzare un patto forte con le istituzioni e le imprese per condividere i progetti di sviluppo, monitorare i tempi e le ricadute occupazionali”.
Carasi aggiunge: “La fuga dei giovani è una ferita che impoverisce due volte il nostro territorio, privandolo delle migliori promesse, ma anche delle risorse economiche che per anni vengono trasferite dalle famiglie. Una perdita stimata, solo per la provincia di Ragusa, in circa 700-800mila euro l’anno. I temi della crescita, del lavoro, dell’istruzione, della legalità si intrecciano in modo inestricabile soprattutto nel Sud dove l’assenza di sviluppo e di occupazione condiziona ogni articolazione della vita sociale. La risposta decisiva è il lavoro. Dobbiamo metterci tutti assieme, fare sistema per affrancare le persone dalla paura e dal bisogno. Occorre combattere le disparità sociali e territoriali. E, ancora, realizzare infrastrutture materiali, digitali e sociali. Nonché controllare il buon utilizzo di ogni euro erogato, seguendone passaggi e traiettorie. L’obiettivo del patto che chiediamo è soltanto uno: creare buona occupazione, soprattutto giovanile e femminile. Che vuol dire nuove politiche industriali. Fiscalità di vantaggio. Contrasto del precariato e di ogni forma di sfruttamento. E poi protezioni sociali universali, con ammortizzatori sociali rivolti a tutti e collegati a politiche attive e generative che forniscano formazione e riqualificazione”.
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