L’Aquila, dipendente ridotta in schiavitù e costretta a filmarsi nuda

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Giunta al lavoro e sotto minaccia della divulgazione, la donna doveva videochiamare il suo aguzzino, recarsi al bagno e masturbarsi”. In sintesi è questa la storia accaduta ad una donna e svelata dalla Squadra mobile dell’Aquila.

La donna minacciata

La vittima, secondo quanto raccontato dalle forze dell’ordine, ogni giorno era costretta a filmare la propria biancheria intima e a compiere atti di autoerotismo mentre si trovava al lavoro. Ma non solo, oltre a tutto ciò, la donna è stata costretta ad avere innumerevoli rapporti sessuali forzati prima e dopo il lavoro.

Inutili le lacrime e le suppliche, che invece di impietosire il presunto aguzzino, lo avrebbero eccitato.

Ad interrompere di fatto quella che si può ipotizzare come “riduzione in schiavitù sessuale” cui da tempo era costretta la donna, sono stati gli agenti della Quarta Sezione della Squadra mobile della Questura dell’Aquila.

L’imputato

L’imputato è un uomo di 53 anni, originario di Roma, operante in città nel settore del recupero sociale, e ora accusato di violenza sessuale, stalking e minacce, e assistito dall’avvocato Gianluca Di Genova.

L’uomo avrebbe cominciato a minacciare la donna poco dopo l’avvio della relazione sentimentale. Secondo i riscontri, se la vittima non avesse fatto quello che le imponeva il suo aguzzino, questi avrebbe pubblicato le foto osè e vari video hard con la parte offesa (rappresentata dall’avvocato Simona Giannangeli) sui siti di incontri e altre chat.

Schiava del sesso

Il risultato è stata la trasformazione della donna in una sorta di schiava del sesso a comando: costretta a indossare una maschera di raso di colore nero e farsi scattare foto mentre era nuda, costretta a compiere atti di autoerotismo. Rapporti forzati che avrebbero preso avvio nel 2017.

Quando poi, l’imputato è venuto a conoscenza del fatto che la donna si era legata sentimentalmente con un ragazzo, l’uomo avrebbe rincarato la dose, costringendola ad avere rapporti sessuali filmati con il telefonino fuori dall’edificio di lavoro, con tanto di saluto finale al nuovo compagno. Anche in questo caso sotto la minaccia “di uccisione dei suoi cani e della famiglia del nuovo compagno”.

La malcapitata sarebbe stata costretta a “inviargli i turni di servizio mensili di lavoro, chiamarlo la mattina quando usciva per andare al lavoro, a mantenere il contatto telefonico lungo lo stesso tragitto, a telefonargli più volte durante la giornata”.

E ancora, la donna doveva chiamarlo “amore” e prendergli la mano quando passeggiavano in pubblico, come una normale coppia.

Quando gli agenti hanno perquisito l’abitazione dell’imputato (inizialmente arrestato) si è aperto un vaso di Pandora perché tutto sarebbe stato registrato, filmato e conservato, compresi i messaggi di minacce tra telefono e pc.

Ora l’uomo dovrà comparire dinanzi al Tribunale collegiale dell’Aquila per rispondere di tali presunti e gravi reati.

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Giovanna Giaquinto

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