Massimo Melluso, la madre non si dà pace: “Anch’io voglio la verità, non è suicidio”

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Lo straziante appello di Maria Vincenzino, insieme con le figlie Roberta e Annamaria. Sono la madre e le sorelle di Massimo Melluso, il 31enne originario di Villaricca, nel napoletano, che lo scorso 26 giugno è stato trovato impiccato a una trave del capannone dove lavorava e allevava conigli, a Ventimiglia di Sicilia, il centro in provincia di Palermo dove conviveva col fidanzato.

Dopo la decisione della Procura di Roma di fare eseguire l’autopsia sulla salma di Anthony Bivona, il 24enne di Adrano che, secondo le autorità tedesche, in Germania si sarebbe suicidato (tesi rigettata con forza dai parenti, certi che il giovane sia stato vittima di una aggressione), con la voce strozzata dal dolore e dalla disperazione si chiedono esami anche sul corpo di Massimo per fare piena luce sulle cause del decesso.

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“Con le mie figlie voglio chiarire tutti i punti oscuri che ci sono, che venga fuori la verità e sia fatta l’autopsia sul corpo del mio povero figlio”, dice Maria.


“Massimo, dagli amici chiamato Alessio, svolgeva una vita del tutto regolare, piena di lavoro e passioni: si occupava con dedizione al suo allevamento di conigli ariete nano e restaurava anche vecchie Barbie, che poi rivendeva su un noto sito per collezionisti – racconta – Era molto amato dalle persone. Sabato mattina 26 giugno è stato trovato dal fidanzato, impiccato in un casale, abbiamo ricevuto notizia del decesso solo nel pomeriggio tramite una chiamata dei carabinieri del comando di Ventimiglia di Sicilia, il giorno seguente mi sono precipitata sul posto, dove ho trovato mio figlio già vestito in una bara. Avrei voluto vestirlo io mio figlio, non mi è stata data nemmeno questa possibilità”.

In ospedale nessuna traccia di quel che gli era successo, non è stata inviata la polizia scientifica sul luogo del ritrovamento, nessuna indagine, nessuna prova: è stato subito valutato come suicidio, senza fare alcuna valutazione, senza prima chiedere almeno un parere a noi che lo amavamo profondamente. Mio figlio era felice, non ha mai dato cenno di alcun disturbo, era sano e non assumeva alcun medicinale. Non sono solo una mamma disperata, sono una mamma che ha perso un figlio felice, affermato professionalmente e integrato serenamente nella società. Non avrebbe alcun motivo per togliersi la vita. Nessuno”.

“Adesso l’unica certezza è la sua morte. Il resto è un incubo pieno di punti interrogativi – conclude – Perché non fare l’autopsia? Perché le autorità non si degnano di alcuna risposta ai nostri angoscianti dubbi e sospetti? Un caso mai aperto in Sicilia. Perché tanta facilità nel reputare la morte di un 31enne pieno di vita e appagato un suicidio? Abbiamo bisogno di capire cosa c’è dietro: se non c’è nulla da nascondere, perché non vogliono aiutarci a capire cosa è successo al mio povero figlio o almeno perché, se davvero di suicidio si è trattato, lo ha fatto, cosa, di talmente grave e insopportabile, lo avrebbe spinto al gesto più estremo? Vogliamo che sia fatta l’autopsia sul corpo di mio figlio e scoprire la verità”.

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Alessandro Sofia

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