Iniziamo col sottolineare che la lingua siciliana ha una particolarità: l’organo sessuale maschile è indicato con una parola di genere femminile e l’organo sessuale femminile, invece, con un termine maschile. L’espressione “minchia”, in Sicilia, ha mille sfumature e assume una miriade di significati e sentimenti: gioia, stupore, astio, paura, orrore, approvazione… Provate a pensare e contare a quanti significati può avere, nell’uso comune del linguaggio, questa parola.
Una tale varietà di significati ha permesso a questa espressione di varcare i confini siciliani per diventare di uso frequente anche in altre regioni d’Italia, in particolare in Piemonte.
La radice del nome risale al latino mèntula che, a sua volta, viene dal latino arcaico mattea (mazza) e al diminutivo mateola (mazza piccola). Questi termini rimandano all’ebraico matte (pertica).
Secondo lo studioso Raffaele Corso (padre dell’Etnografia italiana) da mèntula discende il latino medioevale mentla che via via si trasforma in menkla, poi menkia fino alla nostra “minchia“.
Nella nostra letteratura siciliana l’utilizzo del termine viene ritrovato ne I Malavoglia di Giovanni Verga, dove Padron ‘Ntoni viene apostrofato come minchione perché incapace di gestire gli affari. Anche Andrea Camilleri, fa esclamare spesso al suo Commissario Montalbano “minchia” per rimarcare alcuni stati emotivi che tengono gli spettatori con il fiato sospeso durate le sue indagini.
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