Quelle rivelate nel 2019, quando riuscì, appena undicenne, a chiedere aiuto ai carabinieri, facendo emergere l’inferno che si celava ad Arzachena, nella provincia di Sassari.
Si è suicidato a 16 anni, quando sembrava che stesse riuscendo a liberarsi da quell’incubo grazie anche alla “zia buona”, così come definiva la sorella della madre alla quale era stato affidato dopo la condanna dei genitori ai quali è stata revocata la potestà, che lo ospitava e che ha fatto la tragica scoperta del suo corpo senza vita.
Lo sfortunato adolescente nel giugno del 2019 riuscì a chiamare i militari con un cellullare senza sim dalla sua camera, dove era stato imprigionato dal padre 47enne e dalla madre 43enne prima che uscissero.
I carabinieri si precipitarono sul posto e lo liberarono, per poi portarlo al sicuro e avviare le indagini, che svelarono quel che il bambino subiva.
Veniva segregato al buio per ore, senza letto e con un secchio per fare i bisogni, picchiato con un tubo di plastica dietro le ginocchia. Gli unici alimenti che gli concedevano erano pane e pasta in bianco.
Ma non basta. L’undicenne era costretto a fare anche 12 docce gelate d’inverno, privato di giochi, di indumenti e veniva costretto a leggere la Bibbia. Il tutto perché, secondo la zia condannata insieme con i genitori, bisognava “correggere” il comportamento del bambino, considerato troppo vivace.
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