Pubblicato il 7 Agosto 2025
Si è spento a 94 anni uno dei grandi maestri della fotografia del Novecento
Gianni Berengo Gardin, uno dei più importanti fotografi italiani del secolo scorso, è morto nella notte (7 agosto) a Genova, all’età di 94 anni. Con la sua inseparabile Leica, ha raccontato l’Italia e il mondo attraverso un milione e mezzo di scatti – forse anche di più – costruendo un archivio unico che è insieme un’opera d’arte e un documento storico.
Il suo sguardo ha attraversato il Novecento come una commedia umana, sempre fedele a una fotografia in bianco e nero, senza artifici né ritocchi. Era questo il suo marchio, la sua poetica, il suo modo di vedere il mondo. Sulle sue stampe amava apporre con orgoglio il timbro “Vera fotografia”, un manifesto del suo rigore e della sua coerenza.
Un testimone della realtà
Berengo Gardin ha fotografato tutto: manicomi, matrimoni, treni, barconi, calli veneziane e periferie industriali. Ma non si è mai definito un artista. «Io sono un documentarista, un testimone», diceva. Un uomo che cercava la verità nelle piccole cose, senza mai piegarle al sensazionalismo.
Era innamorato della vita, e questo si vede in ogni suo scatto. La sua fotografia non cercava di stupire, ma riusciva comunque a farlo, grazie alla sua capacità di cogliere l’attimo, l’umanità, l’ironia sottile del quotidiano.
Le radici veneziane e la scoperta della fotografia
Sebbene fosse anagraficamente ligure, con un padre albergatore a Santa Margherita Ligure e una madre svizzera, Berengo Gardin è legato soprattutto a Venezia, la città dove ha imparato a osservare. Fu lì che, grazie a una Voigtländer a soffietto prestatagli dalla madre e agli stimoli ricevuti dallo zio americano amico di Cornell Capa, scoprì la grande fotografia sociale americana: Dorothea Lange, Eugene Smith, la FSA.
Dopo una giovinezza fatta di lavori umili – cameriere, bagnino, commesso – riuscì infine a diventare fotografo. E nonostante gli esordi difficili, come quando al circolo fotografico La Gondola le sue stampe vennero strappate in faccia, Berengo Gardin non si arrese. «Puoi fare di meglio», gli dissero. E lui lo fece, eccome.
Il bianco e nero come scelta di linguaggio
Per lui il bianco e nero non era una moda, ma una lingua. Usò anche il colore, certo, ma sempre con distacco. Il digitale lo faceva sorridere, lo considerava una finzione. «Non costruisco immagini, le cerco», diceva. Fotografava per testimoniare, non per abbellire.
Alcune sue immagini sono diventate icone:
- la 500 solitaria davanti all’oceano,
- i ragazzi che ballano con un grammofono tra le dune,
- il bacio sotto i portici di San Marco, che definiva ironico, non romantico.
Ma tra le sue preferite c’era uno scatto manierista, pieno di riflessi e finestre su un vaporetto veneziano, tanto potente da essere selezionato da Henri Cartier-Bresson tra le 80 fotografie da salvare del Novecento. Foto Di Alessio Jacona from Rome, Italy – Gianni Berengo Gardin, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org

