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G8

G8 di Genova: lo Stato deve risarcire 4 manifestanti

Pubblicato il 27 Ottobre 2023

Riconosciuti danni morali e materiali a due donne e un uomo tedeschi e un cittadino americano che nel 2001 erano stati picchiati e poi sottoposti a torture. Non sempre lo Stato riesce a rivalersi sugli agenti (e paga quindi il contribuente)

Avevano poco più di vent’anni. Fra loro c’è chi non ha mai più messo piede in Italia e chi invece è tornato a Genova, con costanza, alle commemorazioni per Carlo Giuliani e di quei giorni di follia in piazza, torture e «mattanza messicana». Quattro manifestanti al G8 2001 hanno ottenuto, 22 anni dopo, altrettanti risarcimenti da 200 mila euro ciascuno in sede civile.

Assistiti dall’avvocato Dario Rossi, uno dei legali del Genoa Legal Forum, sono cittadini tedeschi (due donne e un uomo) e americani (un uomo). Il giudice del Tribunale di Genova Pasquale Grasso ha tenuto conto delle percosse subite, nella sentenza si parla di traumi cranici, contusioni, ferite, degli effetti psicologici a lungo termine, del trattamento subito nella caserma di Bolzaneto e durante l’arresto alla scuola Diaz, riferisce il Corriere.

Si parla del cosiddetto “tunnel di agenti” attraverso il quale i ragazzi dovevano passare tra insulti e pestaggi. Si parla di donne costrette a utilizzare i servizi igienici o a togliersi i tamponi davanti ad altre persone, di ragazzi e ragazze obbligati a stare tutta la notte in piedi con le gambe e le braccia divaricate a osservare le percosse nei confronti dei loro compagni. Ma anche degli effetti di un’espulsione coatta dall’Italia, durata cinque anni, di accuse e processi ingiustamente subiti, di danni economici legati al sequestro dei beni materiali, di un furgone utilizzato per arrivare a Genova dalla Germania. Ai quattro manifestanti risarciti è stata anche riconosciuta un’invalidità per le ferite e il trauma psicologico subiti.

L’avvocato Rossi ha atteso che si concludesse l’iter presso la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che ha riconosciuto risarcimenti tra i 45mila e i 60mila euro per le circa 200 parti offese del G8, per avviare la causa. «Il nostro dossier era molto ricco e articolato — spiega — e ha fatto tesoro di altre sentenze, la cifra stabilita è alta anche per via della rivalutazione e degli interessi ma la cosa forse più importante è che il giudice ha deciso di non compensare, cioè di non sottrarre dalla somma finale, la cifra di risarcimento già stanziata dalla Corte europea ». Questo aspetto, in realtà, potrebbe costituire un elemento di appiglio per l’avvocatura dello Stato, controparte fino a oggi estremamente combattiva nei processi civili sul G8. In più di un caso lo Stato è ricorso in appello per ritardare o limitare il pagamento di risarcimenti così ingenti. Nel caso dei fatti di Bolzaneto, per esempio, la causa è nei confronti sia del ministero dell’Interno sia del ministero della Giustizia che, solo in teoria, dovrebbero in futuro rifarsi sugli agenti e i medici condannati in sede penale. Ma vista l’entità delle somme e vista la quantità di prescrizioni avvenute, di fatto, i soldi per chi ha vinto le cause arrivano dalle casse dello Stato.

La causa vinta dai quattro «ex ragazzi» stranieri è solo una delle tante in sede civile, alcune delle quali ancora in piedi. Lo stesso Dario Rossi è in attesa dell’appello per un altro assistito, Arnaldo Cestaro, che nel 2001 aveva 62 anni e dopo esser stato pestato alla Diaz ha riportato fratture a una gamba, a un braccio e ad alcune costole. Ma, mentre gli iter dei processi penali hanno visto le parti offese fare massa, le partite in sede civile sono estremamente frammentate, in ordine sparso. Per l’assalto alla scuola Diaz e per le violenze nella caserma di Bolzaneto, dove sono stati portati 75 dei 93 manifestanti arrestati nella scuola. La Cassazione, nel 2012, ha condannato i 25 poliziotti presenti al blitz della Diaz, tra cui i vertici della polizia italiana dell’epoca, per falso aggravato: questo è infatti l’unico reato scampato alla prescrizione dopo 11 anni. Nomi come quelli del direttore del Servizio centrale operativo (Sco) Francesco Gratteri e il suo vice Gilberto Caldarozzi, il vicedirettore dell’Ucigos Giovanni Luperi e il primo dirigente della Digos di Genova Spartaco Mortola.

Tra quei 25 non c’è Gianni De Gennaro, al tempo capo della polizia, mai indagato nel processo principale e assolto in un procedimento parallelo per induzione alla falsa testimonianza. È stato comprovato, sempre in base ai processi, il posizionamento da parte della polizia di molotov falsamente attribuite ai manifestanti, come la falsità delle accuse con cui si giustificava l’arresto di 93 persone. Per i fatti di Bolzaneto nel 2013 la Cassazione ha confermato le sette condanne emesse in appello mentre è stata dichiarata la prescrizione per 35 persone, comunque condannate a risarcire i danni alle vittime di abusi e violenze. Per quanto riguarda i manifestanti, sono 10 i manifestanti condannati su 25 imputati per devastazione e saccheggio. Nessuno di quei manifestanti era stato arrestato in piazza, le loro azioni sono state ricostruite a posteriori con l’analisi dei filmati. Per le centinaia di ragazzi e ragazze tratti in arresto durante le manifestazioni le accuse sono state tutte archiviate.

Ma il passaggio più importante è stato, nel 2015, la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) che definiva le violenze perpetrate a Genova come una “rappresaglia, per provocare l’umiliazione e la sofferenza fisica e morale delle vittime” e che quindi non potevano essere descritte che come “tortura”. Di fatto con quella sentenza la Cedu ha obbligato l’Italia a introdurre il reato di tortura, approvato poi dal Parlamento nel 2017. La sentenza criticava inoltre lo Stato italiano per non aver collaborato con gli inquirenti nell’identificare i poliziotti autori di violenze, per la mancanza di strumenti identificativi come i codici numerici sulle divise, e per non aver svolto azioni verso questi funzionari, la maggior parte dei quali ha fatto carriera negli anni successivi. L’ultimo atto, finora, è stato, nel gennaio 2022, la decisione con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha dichiarato irricevibile perché infondato l’ultimo ricorso sollevato da dieci dirigenti di polizia condannati per falso ideologico nel procedimento sulla “macelleria messicana” alla scuola Diaz.